La befana che porta il carbone

Beni confiscati, il caso dell’impresa di “don” Rosario Cascio e la rete del calcestruzzo che è naufragata senza nemmeno nascere

calcestruzzi-belice-1Hanno ricevuto il preavviso di licenziamento gli undici dipendenti della Calcestruzzi Belice Srl di Montevago (Agrigento), un tempo di proprietà dell’imprenditore di Partanna Rosario Cascio, condannato per associazione mafiosa. Società da anni confiscata e adesso gestita dall’agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Lo scorso 29 dicembre il tribunale di Sciacca ha dichiarato il fallimento dell’impresa, accogliendo l’istanza dell’Eni Spa, creditrice per 30 mila euro circa. Si è trattato di un secondo pronunciamento del Tribunale dopo che una prima istanza era stata respinta. Il debito non è da ricondurre all’amministrazione giudiziaria, ma proveniva da un periodo precedente, ancora prima che scattasse il sequestro e sembra anche che il debito non apparteneva alla Calcestruzzi Belice ma ad un’altra impresa della holding di don Rosario Cascio. Intanto protesta il sindaco di Montevago Margherita La Rocca Ruvolo: “La Calcestruzzi Belice è un’azienda sana, che ha un volume d’affari superiore al milione e duecentomila euro l’anno, non è possibile che l’agenzia per i beni confiscati non trovi una soluzione, lasciando undici padri di famiglia in mezzo la strada”. “È un provvedimento assurdo”, ha aggiunto il sindacalista Vito Baglio, segretario provinciale della Fillea Cgil: “la lotta alla mafia si fa incrementando i posti lavoro, non togliendo il lavoro a chi ce l’ha”. A scendere in campo anche la numero uno della Cgil, Susanna Camusso: “Si rischia di trasmettere un messaggio distorto- ha detto – poiché viene meno il compito dell’Agenzia medesima, cioè di consentire la produttività dei beni confiscati. Da un lato toglie alla mafia, dall’altro licenzia i dipendenti. Ci rivolgeremo al Governo e alla stessa Agenzia nazionale dei beni confiscati poiché appare evidente che non sono state rispettate le regole e le ragioni di un procedimento che ha il compito di mettere a frutto i beni confiscati alla mafia”. Il deputato nazionale del Pd, Davide Mattiello ha protestato lamentando il ritardo dell’intervento parlamentare sulla questione generale gestione dei beni confiscati: “Se il nuovo codice antimafia fosse stato legge, questa assurdità non sarebbe stata possibile, invece il testo è fermo in Senato dal novembre del 2015”. Ma Mattiello evidenzia anche altro: “In ogni caso questa vicenda va chiarita: perché una azienda confiscata da anni, era ancora direttamente amministrata dalla Anbsc? Cosa ha fatto l’Agenzia per ricollocare sul mercato questa azienda, tutelando i livelli occupazionali? Come è possibile che l’Eni abbia chiesto il fallimento di questa azienda per avere soddisfazione di un credito di 30 mila euro? In altre parole: un pezzo dello Stato avrebbe chiesto (e ottenuto!) il fallimento di un altro pezzo di Stato per 30 mila euro, senza tenere in alcun conto ne’ il devastante valore simbolico ne’ il devastante valore occupazionale di una simile scelta. Fino a che la confisca di una azienda capace di stare nel mercato si trasformerà in disoccupazione e fallimento, lo Stato non chiuderà la partita contro la mafia”.

postiglioneIl prefetto Postiglione, a capo dell’Agenzia nazionale beni confiscati ha affermato che non si tratta di una mala gestione dell’azienda, ma di un assurdo doppio pronunciamento del Tribunale e ha ribadito che il debito non è da mettere in capo agli amministratori giudiziari. “Faremo ricorso” ha detto ai giornalisti che l’hanno interpellato. C’è però un altro aspetto rilevante. La Calcestruzzi Belice fa parte del progetto che ha come capofila la Calcestruzzi Ericina Libera per mettere in rete tutte le aziende produttrici di calcestruzzo della provincia di Trapani ma non solo, anche Palermo ed Agrigento, comunque zone limitrofe al trapanese. Un progetto che, sostenuto anche da Libera, va avanti da molto tempo, ma che non è riuscito a vedere la luce. Della faccenda si sta occupando anche la commissione nazionale antimafia. Il progetto è evidente che incontra resistenze ma non tutte sono state spiegate. La Calcestruzzi Belice è un pezzo importante della “rete” e se davvero è destinata a chiudere, il progetto della rete a questo punto potrebbe davvero naufragare. Nel giorno della festa della Befana non c’è dubbio che qualcuno un bel sacco di carbone meriterebbe di riceverlo. Dopo tanto discutere, dopo tante riunioni in prefettura a Trapani, dopo il coinvolgimento del capo dell’agenzia nazionale beni confiscati prefetto Postiglione, del progetto della rete del calcestruzzo nessuno più parla. O meglio si rischia di parlarne oggi come di qualcosa che non potrà mai più nascere. Allora proviamo noi a chiedere all’Agenzia nazionale beni confiscati una risposta alla nostra domanda: che fine ha fatto il progetto? Un progetto ideato per fare uscire dalla crisi un gruppo di aziende confiscate, per utilizzare beni confiscati lasciati in abbandono. Un esempio? La calcestruzzi confiscata al boss mafioso Ciccio Pace, la Sicilcalcestruzzi. L’azienda è ferma così come i mezzi, rimasti da tempo parcheggiati all’interno del recinto aziendale. Per lo Stato la mancata assegnazione rappresenta o no uno spreco enorme? E se è così, di questo qualcuno se ne accorge?

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.