100 articoli verso il 21 marzo, il caso della casermetta di Alcamo Marina
Sono passati quarantuno anni dalla notte, tra il 26 e 27 Gennaio 1976, in cui vennero barbaramente assassinati, nella piccola casermetta di Alcamo Marina, i due Carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, il primo di Castellammare di Stabia (Na) e il secondo di Castelvetrano (Tp).
Anni che pesano come macigni sullo stomaco di tutti, non solo per i familiari, ma anche le istituzioni, che dovrebbero essere le prime a darle su quanto è accaduto. Non si chiede molto: solamente la verità. Da solo non basterà a chiuderà tutte le ferite ma, sicuramente, porterà ad una vera giustizia.
Invece, dopo tanti anni, solo il buio, lo stesso di quella notte, in cui un commando armato, approfittando della pioggia rumorosa ed incessante, entrò nella casermetta, cogliendo di sorpresa i due militari nel pieno della notte e dando luogo ad un evento unico in Italia a partire dal dopoguerra ad oggi: il primo assalto ad un caserma delle forze dell’ordine.
Il giovane Carmine venne ucciso direttamente nella sua brandina, con una serie di colpi, che non gli diedero nemmeno il tempo di reagire. Nell’altra stanza, Salvatore, che invece i rumori li aveva sentiti, non fece in tempo ad impugnare la pistola che venne raggiunto da una serie di colpi. Dopodiché il silenzio, lungo più di quarant’anni.
La prima segnalazione arriva, la mattina stessa intorno alle sette, dagli agenti di scorta dell’onorevole Giorgio Almirante che, trovandosi di strada sul lungomare, notarono qualcosa di strano sia al cancello che all’entrata della caserma. Senza ispezionare accuratamente l’edificio, avvisarono direttamente le autorità militari. Poco dopo i Carabinieri della Stazione di Alcamo giunti sul luogo del delitto, trovarono uno scenario raccapricciante, e avviarono immediatamente i sopralluoghi e le indagini. Dalla casermetta mancano divise, pistole e altri oggetti.
I primi a rivendicare la strage si sono firmati come il gruppo terroristico, finora mai sentiti in Sicilia, Nucleo Sicilia Armata. Però, attraverso una registrazione a poche ore dall’agguato riuscirono a fornire dettagli precisi. Considerando la tempistica si tratterebbe sicuramente di qualcuno che è stato presente alla strage o è stato ben informato da chi era lì quella notte.
Da quel momento in poi, sono state messe in campo innumerevoli piste e ipotesi, forse troppe: dalla mafia alle brigate rosse, dal terrorismo locale ai servizi deviati (Gladio), per finire con l’ipotesi di sbarchi notturni di droga e armi nel Golfo di Castellammare.
Tutte possibili e nessuna possibile. E la verità dove sta? Magari è tra queste, oppure la spiegazione è più semplice di quanto si possa pensare e gli altri fattori, sebbene possibili, stiano solo a contorno della vicenda?
In effetti, che nella Provincia di Trapani ci sia sempre stato, un forte mix tra mafia, servizi deviati e pezzi delle istituzioni non è una novità.
Ma tutti questi potrebbero essere i tasselli di un’unica pista? E se, invece, ci fosse davvero una regia “così oscura” dietro a tutto ciò, a che cosa sarebbe servito un ipotetico depistaggio all’interno della casermetta? Non si poteva organizzare il tutto anche all’esterno dell’edificio?
Tante le domande, forse infinite, che ci potremmo porre su questa vicenda. Ma a nessuna di questa sarà possibile dare una risposta senza una vera volontà di ricerca della verità, e non basterà farlo solamente per i familiari, che da anni aspettano risposte e ancora piangono i propri cari, ma va fatto per il bene del paese affinché si possa continuare a credere nella giustizia.
Ad oggi, lo Stato è riuscito, solamente, a pronunciarsi, grazie ad una testimonianza giunta dopo trent’anni, su chi non ha compiuto questa strage. Sentenza rispettabile, che però non ha portato al passo successivo: la riapertura del fascicolo e la riesamina di tutte le prove e le altre testimonianze presenti.
Forse l’unica domanda sensata da porsi oggi è questa: non dovrebbe essere prioritario, a distanza di quarantuno anni, ricercare la verità prima che sia troppo tardi?