100 articoli verso il 21 marzo: a 34 anni dal delitto mafioso del magistrato trapanese lo scenario trapanese è ancora intorpidito come in quel 1983
C’è una intervista, forse l’unica, rilasciata alla Rai dal pm trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto, 90 giorni prima che Cosa nostra lo uccidesse. Quelle sue parole consegnano ancora oggi a chi le ascolta uno spaccato di grande attualità. Ciaccio Montalto al giornalista che lo intervistava rispondeva descrivendo uno scenario di difficoltà da parte della magistratura per affrontare e combattere criminalità organizzata e mafiosa.
“I mezzi non li abbiamo” diceva Ciaccio Montalto riferendosi non solo agli strumenti normativi (un mese prima di quell’intervista era stato introdotto nel codice penale il reato 416 bis, ossia l’associazione mafiosa) ma anche agli strumenti relativi al sostegno sociale: “Spesso – diceva Ciaccio Montalto – il lavoro del magistrato contro le mafie è visto come una guerra privata quando invece si tratta di una guerra che dovrebbe essere sentita come pubblica”.
Una situazione sconfortante che faceva dire al magistrato anche un’altra cosa, alla domanda del giornalista che gli chiedeva se era possibile pensare a battere la mafia, lui rispondeva, “non lo pensiamo neanche lontanamente”. Come non riconoscere attualità a questi pensieri. Oggi il contrasto al fenomeno mafioso seppure possa apparire pesante grazie al lavoro di tanti magistrati e investigatori sul fronte degli arresti e del sequestro e confisca dei beni, registra spesso incredibili vuoti o addirittura di tentativi di passi indietro da parte della politica e quindi del legislatore, basti pensare a strumenti come quello delle intercettazioni che un giorno si e l’altro pure viene posto in discussione, basti pensare al bavaglio che prima che la politica dentro lo stesso sistema giudiziario si vuole imporre ai pm.
Quello che ieri è accaduto a Ciaccio Montalto accade oggi ad altri magistrati la cui natura eroica del proprio impegno da qualcuno, interessato più che altro a coprire proprie malefatte, viene presentato come accanimento, e quel che è più grave che questo genere di immagine, falsata, trova una informazione compiacente. Ieri al giudice scomodo si sparava, come successo a Ciaccio Montalto, e la gente si girava dall’altra parte, dicendo che quella morte se la era cercata, oggi si cerca di delegittimare il magistrato che come Ciaccio Montalto ha le idee ben chiare su come contrastare mafia e mafiosi, descrivendo magari scenari inesistenti, indicando irresponsabilità fantasiose, e la reazione di parte della società è sempre la stessa, quel magistrato quelle agitate giornate se le è cercate.
Le stragi del 1992 suscitarono nella collettività quell’emozione e quella rivolta contro Cosa nostra che per tanti anni, sebbene dinanzi ad altrettanto gravi delitti e stragi, erano rimasti solo sommovimenti privati di qualcuno. Di colpo tanti si scoprirono essere consapevoli del fenomeno, consapevoli anche del fatto che per decenni quella realtà sanguinaria era stata nascosta da una società che preferiva ammantare di perbenismo i mafiosi e mascariare le vittime. A 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio purtroppo le parole di Ciaccio Montalto dette in quell’ottobre del 1982 hanno riconquistato attualità, c’è una Sicilia, c’è una città come Trapani che hanno nuovamente scelto di intorpidirsi, si parla sempre meno di mafia mentre i magistrati arrestano e i giudici condannano politici e colletti bianchi, e si parla sempre di più di una antimafia dipinta quasi se fosse un pericolo maggiore della mafia.
Immaginiamo oggi i mafiosi che sorridono mentre per esempio nelle aule giudiziarie si svolgono processi a tutela della loro buona reputazione. Ieri come oggi il nemico principale resta Cosa nostra e quella mafia che Ciaccio Montalto aveva bene inquadrato, la mafia alleata e diventata un’unica cosa con la massoneria. Ieri come oggi ci sono indagini che vanno in questa direzione, ma una parte della società è come se rifiutasse l’esistenza di questo scenario, arrivando a negare l’evidenza. Ieri come oggi c’è una associazione mafiosa che gestisce bene il traffico di droga e che sa riciclare i soldi guadagnati ancora meglio rispetto a ieri.
Oggi più di ieri c’è una mafia borghese che pretende di continuare a governare il territorio, aiutata da una parte della società che per quieto vivere , per complicità, o come ricompensa di favori ricevuti, sostiene che la mafia non esiste più perché sconfitta.
Le coppole e le lupare per adesso sono state sotterrate, ma sono pronte per essere disotterrate, c’è una nuova mafia che avanza, quella 2.0 del latitante Matteo Messina Denaro, quella mafia che ha saputo sparare bene quando è stata ora di sparare ma è quella mafia che sa votare bene quando è ora di votare.