Assoluzione per il giornalista trapanese Marco Bova
Ieri a conclusione dell’udienza è stato lo stesso Pm a chiedere al giudice monocratico del Tribunale di Trapani l’assoluzione del giornalista trapanese Marco Bova. Il Pm Verzera lo aveva indagato per il reato di cui all’art. 371 bis del codice penale dopo la pubblicazione il 30 settembre 2015 sul Fatto Quotidiano.it di un articolo che svelava i retroscena di una perquisizione all’epoca subita dall’ex senatore del Pd, l’alcamese Nino Papania. Al rifiuto del cronista di rispondere alla domanda del magistrato su come aveva saputo della circostanza, per Bova scatto l’accusa di tacere al magistrato fatti dei quali era a conoscenza, in termini pratici Bova si è ritrovato sotto processo per avere taciuto la fonte. Dopo la testimonianza nella precedente udienza del presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Riccardo Arena, che ricordando precisi pronunciamenti giudiziari che riconoscono anche ai giornalisti pubblicisti il diritto ad avvalersi del segreto professionale, è recentissima peraltro l’assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello di Caltanissetta nei confronti dei giornalisti Josè Trovato e Giulia Martorana, ieri è stato lo stesso Pm a chiedere l’assoluzione di Bova, difeso dagli avvocati Nino Caleca, Roberto Mangano, che hanno argomentato la richiesta di assoluzione richiamando norme della legislazione italiana ed europea nonché sentenze già pronunciate in favore del riconoscimento del segreto professionale anche per i pubblicisti. L’assoluzione è stata sentenziata dal giudice Piero Grillo. “La sentenza che ha scagionato Marco Bova è anch’essa storica – ha commentato Arena – come già lo era stata la pronuncia favorevole a Josè Trovato e Giulia Martorana. Si tratta di un altro importantissimo passo avanti nella tutela dei giornalisti e delle loro fonti, quindi, in ultima analisi, nella tutela della democrazia in questo Paese. Continueremo a sostenere l’equiparazione tra professionisti e pubblicisti, in questo e in altri campi, come abbiamo sempre fatto, a dispetto di coloro che, per discutibili fini di potere, puntano a dividere, piuttosto che unire gli iscritti all’Ordine”.