A Trapani dove regna ancora la mafia che incontrò Falcone

A 25 anni da Capaci , c’è una attualità che non è diventata storia

Era il 1966 e con il trasferimento a Trapani da Lentini, dove aveva svolto le funzioni di pretore, Giovanni Falcone cominciò la sua carriera professionale in magistratura che si sarebbe interrotta, a Trapani, nel luglio del 1978 con l’attribuzione dei nuovi incarichi a Palermo che presto lo porteranno nella trincea dell’ antimafia e in prima linea contro Cosa Nostra e la schiera di complici dei “mammasantissima” siciliani.

Com’era il Giovanni Falcone di Trapani? «Chi lo ha frequentato – scrive il giornalista e scrittore Francesco La Licata nel libro “Storia di Giovanni Falcone” dedicato al magistrato assassinato da Cosa Nostra il 23 maggio del 1992 – lo descrive come uno molto attaccato al lavoro, pago delle cose che faceva, era contento. Appare distante anni luce dal Falcone che impareremo a conoscere nel periodo di Palermo, ma è normale che fosse così, a Trapani non aveva la scorta, non erano ancora i tempi dello scontro aperto tra lo Stato e l’ illegalità. Quello semmai era il periodo in cui il fenomeno della mafia veniva sistematicamente ignorato, ridotto a scontri tra bande, offerto all’opinione pubblica come “malapianta”, corpo estraneo in una società che già allora si contrabbandava per sana, ma era una società che mentiva sapendo di mentire. Trapani oggi come ieri resta il miglior luogo ideale per coltivare questo equivoco. Piccola città, chiusa a riccio, molto provinciale, aveva, ed ha ancora a giudicare delle inchieste che approdano nelle aule di giustizia, nel suo seno una sorta di leadership tenuta insieme da interessi eterogenei e non tutti moralmente condivisibili».

A Trapani Falcone fece di tutto, dal pm all’ufficio istruzione, dal civile alla magistratura di sorveglianza passando per le funzioni di giudice fallimentare, girò tutti gli uffici, «trovandosi ovunque a suo agio». Nelle indagini e nel lavoro giudiziario colse elementi che ritroverà quando anni dopo a Palermo si occuperà di indagini sulle cosche mafiose. Pino Savoca per esempio che a Trapani fu imputato in quegli anni ’60 per un contrabbando di tabacchi, «soggetto destinato a far parlare molto di se» evidenzia ancora nel suo libro Ciccio La Licata. Tra le indagini anche quelle su di un attentato subito dal senatore Ludovico Corrao, una storia di estorsioni e le malefatte di alcuni amministratori provinciali a proposito della costruzione di alcune strade provinciali.

Incontrerà la mafia quando ancora le cronache e gli atti giudiziari erano pure restii a indicarla in questo modo. Le indagini sul delitto del pacecoto Perricone, il processo alla banda di don Mariano Licari. Moltissimi anni dopo quando Giovanni Falcone ebbe modo di ricordare quest’ultimo processo, sostenne che dentro quel dibattimento c’era anche una «mafia che cambiava corpo, che cominciava ad ambire al controllo degli affari e del territorio». Mariano Licari partecipò alle udienze «mantenendo le espressioni proprie di un patriarca, mai scatti d’ira, ma non mancarono fuori dall’aula i giudici che venivano avvicinati e indotti a rinunziare… vinse don Mariano, il processo non venne fatto svolgere a Trapani, “legittima suspicione”, Trapani non potè giudicare la sua mafia». Una esperienza precisa. «Gli servì a capire – scrive ancora La Licata – quanto dura sarebbe stata la strada per una buona giustizia, gli servì a comprendere come dagli accertamenti patrimoniali potevano arrivare i riscontri alle accuse e in questo contesto conobbe quanto potenti potevano essere i condizionamenti».
La «descrizione» della Trapani di allora non è diversa da quella di oggi, c’è una città che si prospetta non sempre in modo lucido dinanzi ad una mafia che ha avuto grandi capacità invasive, dentro la politica, la pubblica amministrazione, l’economia, le banche e l’impresa. C’è un dato che non può essere sottovalutato e che dimostra di quanto potere Cosa Nostra ha goduto in questo territorio: quelle «resistenze» a far celebrare i processi che ai tempi di Falcone arrivavano da don Mariano Licari, anni dopo vennero da soggetti come i Minore, come i Sugameli ed i Marino di Paceco; c’era un Palazzo di Giustizia che aveva grandi difficoltà nel riuscire a comporre i collegi giudicanti dei Tribunali. Giudici poco coraggiosi, ce ne erano ieri, ce ne sono oggi, lasciando solo a un pugno di loro colleghi la parte pesante del lavoro di magistrato e giudice. Come ai tempi di Falcone, quando lui e Borsellino dovettero fare i conti con le “tragedie” del Palazzo di Giustizia, con i “veleni”, gli anonimi, i …corvi. E il Palazzo di Giustizia di Trapani oggi non è meno differente da quel Palazzo di Giustizia di Palermo, perché la lotta contro Cosa nostra più che a Palermo la si combatte qui, dove si sequestrano e si confiscano i beni, dove il teorema Saguto è rimasto lontano, dove i politici trapanesi sono quelli che continuano a non rispettare la “distanza di sicurezza dai mafiosi” e “dalla massoneria”, che resta il sale della minestra preparata in stanze segrete e che viene servita ai siciliani di questa terra come la migliore e invece è la più avvelenata.

Ci vollero due ispezioni del Csm per sbloccare negli anni delle stragi del 1992 gravissime situazioni di stallo, i processi a quella che venne chiamata “vecchia mafia”, contro la Iside 2, la loggia coperta frequentata da mafiosi, politici, burocrati con tanto di galloni, e la «raffineria» di droga di contrada Virgini, la più grande mai scoperta in tutta Europa, per fare alcuni esempi, risalenti agli anni ’80, solo a cominciare dal 1993 furono celebrati. Oggi i tempi della giustizia, almeno di quella penale, sono più veloci, ma spesso accade che la società non sempre se ne accorge, perché non c’è una informazione che informa anzi spesso fa esercizio contrario, e dunque c’è una società che resta sempre in ritardo nel prendere coscienza delle condanne pronunciate. Anzi di questi giorni la magistratura sembra essere diventata nemico della democrazia mentre invece si scopre una politica e politici spregiudicati, corrotti, compromessi, collusi. Ciò che emerge e che Falcone a Trapani ebbe intuizioni giuste: quella mafia «incontrata» da Giovanni Falcone a Trapani è riuscita a «cambiare corpo», è diventata impresa e controlla una parte dell’economia. Condiziona il voto e lo fa andando a braccetto con la massoneria. Capaci e via D’Amelio sono lontani da noi 25 anni, ma c’è una storia che non è ancora diventata attualità, ogni giorno c’è una ragione per la quale tornano a morire Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Emanuela Loi, Eddy Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.