Una storia paradossale arriva da Castelvetrano dove un terreno coltivato nella fase del sequestro ora che è stato confiscato è finito abbandonato
Ci hanno lavorato tanti giovani, quelli della cooperativa “Placido Rizzotto”, 16 ettari di terreno che ritornati a produrre dopo il sequestro in danno di imprenditori collusi con Cosa nostra, adesso che sono stati definitivamente sottratti ai padroni mafiosi, confiscati e quindi ancora di più destinati al riuso sociale paradossalmente sono finiti abbandonati. Danno ingente sotto un profilo economico, per quanto investito dalla cooperativa durante il sequestro, grazie ad una provvisoria assegnazione da parte del Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani, ma anche danno sotto il profilo sociale, ora che l’impegno del riuso sociale doveva semmai diventare una cosa certa. I terreni si trovano a Castelvetrano, la terra del boss latitante Matteo Messina Denaro, ricercato dal 3 giugno del 1993, la loro localizzazione è in contrada Inchiusa Petrulla, sequestrati e adesso confiscati agli imprenditori Cascio. La scena che si presenta a chi si reca sui luoghi è quella di un incredibile quanto grave abbandono. Durante il sequestro ad occuparsi dei terreni recuperandoli sono stati i soci della cooperativa “Placido Rizzotto”, che da specialisti hanno riportato a livelli produttivi 7,36 ettari di vigneto (inzolia, nero d’avola e sirah) e 8,33 uliveto (la tipica oliva Nocellara del Belice). La spesa è stata ingente perché la coltivazione è avvenuta rispettando i parametri della coltura biologica e sopratutto garantendo già durante il 2016, 365 giorni di occupazione ad un nutrito numero di agricoltori. Il comodato d’uso concesso alla cooperativa durante il sequestro è scaduto nel momento in cui la confisca è diventata definitiva. Di conseguenza la cooperativa è stata costretta a lasciare i beni, nonostante la disponibilità espressa sia al Comune di Castelvetrano sia all’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati di una prosecuzione temporanea della gestione, per non far perdere la produzione e il lavoro condotto, e questo nelle more dell’assegnazione secondo la normativa vigente. Ma non è accaduto nulla, tutto si è fermato e a pagare le conseguenze è stata la tutela del bene e in particolare l’annata agraria. Tutto questo è accaduto nel momento in cui il bene è giunto a confisca definitiva, e quindi si sarebbe dovuto procedere alla pronta assegnazione a fini sociali, è invece accaduto tutt’altro, e cioè disattenzione e distrazione, risultato dinanzi agli occhi di tutti il grave abbandono di questi terreni esponendoli al rischio di vandalizzazioni e danneggiamenti. E quindi un valore in termini sociali e occupazionali ha cominciato a perdersi, nei corridoi della farraginosa burocrazia, a danno esclusivamente dell’interesse collettivo. E’ questa una immagine inequivocabile di come certe procedure nella gestione dei beni confiscati devono essere svincolati da una burocrazia così tanto dannosa. E a sentire i protagonisti di questa vicenda non c’era affatto bisogno di scorciatoie che avrebbero anche potuto violare le norme, ma sarebbe stata utile una maggiore attenzione da parte del Comune di Castelvetrano e dell’Agenzia dei beni confiscati, bastava permettere alla cooperativa “Placido Rizzotto” di proseguire nella coltivazione dei terreni, nella raccolta delle produzione, mentre si perfezionava l’assegnazione definitiva. “E’ interesse collettivo – evidenziano dal coordinamento provinciale di Libera a Trapani e da Libera Terra – trovare le modalità affinché i beni confiscati durante i tempi necessari a maturare tali passaggi non ricadano in stato di abbandono recando un danno sostanziale sia materiale sia in termini di credibilità da parte delle istituzioni.Inoltre ci preme sottolineare il valore simbolico e sostanziale di immagine/presenza dello Stato che è alla base dei progetti di riutilizzo sociale dei beni confiscati, spesso ancora oggi oggetto di intimidazioni (esempio incendi e danneggiamenti). Siamo fermamente convinti che, a più di vent’anni dall’approvazione della legge 109 del 1996, l’interesse comune di istituzioni e società civile debba essere quello di non dare segnali negativi alla comunità, bensì quello di rendere efficace il riuso sociale dei beni confiscati dimostrando che possono rappresentare, se gestiti con professionalità e impegno, reale volano per lo sviluppo economico e sociale del territorio in cui ricadono”. I terreni in questione furono sequestrati nel 2010 all’imprenditore Rosario Cascio, arrestato nel contesto dell´operazione “Scacco Matto” che portò in carcere una quarantina di mafiosi dell´ agrigentino e del trapanese. Il sequestro fu conseguenza di una intensa attività investigativa da parte della Dia e della Guardia di Finanza, e riguardò beni per 550 milioni di euro tra cui terreni a Partanna e Castelvetrano.