PALERMO. Hanno concluso ieri il dibattimento le parti civili davanti la Corte di Assise di Palermo, Presidente Matteo Frasca a latere Roberto Murgia, per il processo dell’omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Rinviata al prossimo 15 dicembre la conclusione della difesa dell’imputato Vincenzo Virga e il 16 gennaio quella della difesa di Vito Mazzara, sentenza prevista per febbraio 2018.
In sostanza le parti civili chiedono la conferma della sentenza di primo grado, ovvero l’ergastolo per Mazzara e Virga. Il fondamento probatorio della sentenza di primo grado è stato ritenuto dalle parti civili “solido, che approfondisce tutti i possibili moventi dell’omicidio per individuarne, senza alcun ombra di dubbio, quello che ha determinato l’omicidio di Mauro Rostagno”. Conferma dell’ergastolo chiesta lo scorso novembre dai pg Gozzo e De Giglio a conclusione della loro requisitoria.
Secondo le parti civili gli appelli dalle difese degli imputati sono rivolti a smontare la sentenza di primo grado che, con oltre tremila pagine, sbarazza il campo dalle altre piste alternative che porterebbero ad escludere il ruolo centrale della mafia trapanese nell’omicidio di Mauro Rostagno. Infatti durante il processo di primo grado sono state analizzate tutte le piste investigative individuate dagli inquirenti, anche tramite perizie, ed è stata ricostruita la storia delle complesse scelte investigative che hanno portato alla svolta soltanto 20 anni dopo l’omicidio, avvenuto appunto il 6 settembre del 1988 a Valderice. Durante il processo di primo grado sono stati sentiti centinaia di testimoni e acquisite prove scientifiche che, secondo le parti civili, “senza alcun dubbio hanno portato all’unico risultato processuale plausibile, per certi versi apparentemente scontato…”.
Ovvero che l’omicidio Rostagno fu un omicidio di mafia voluto e ordinato da Vincenzo Virga, insieme ad altri mafiosi oggi deceduti, nella qualità di capo mandamento di Trapani, ed eseguito dal fedelissimo killer Vito Mazzara, mafioso di Valderice, già condannato per altri omicidi.
“La sentenza di primo grado – sostengono gli avvocati di parte civile – individua l’organizzazione mafiosa “cosa nostra” quale entità mandante ed esecutrice dell’omicidio, non esclude la cointeressenza all’omicidio di altri gruppi di potere occulti, ma censura senza alcun dubbio le ipotesi delle piste alternative, e cioè la pista interna a Saman, la pista dei servizi informativi occulti o quella che vedrebbe esponenti di Lotta continua quali autori e mandanti dell’omicidio di Mauro”.
Quella di Mauro Rostagno è una storia che si intreccia con la storia di Cosa nostra trapanese. Rostagno si è trovato nella Trapani degli anni ’80 inquinata dalla mafia e dalla corruzione. Una città in cui si intrecciavano (e si intrecciano ancora) interessi illegali che coinvolgono oltre alla mafia anche colletti bianchi, massoneria, banche ed operatori dell’economia del territorio. Rostagno, da buon giornalista di una piccola ma seguita emittente televisiva locale, raccontava quotidianamente i fatti criminosi del territorio approfondendo e analizzando ogni aspetto delle vicende, con una particolare attenzione per quelle di mafia. Tra i casi approfonditi da Rostagno ci sono l’uccisione del Sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, l’uccisione del sostituto procuratore Giacomo Ciaccio Montalto, l’attentato al Giudice Carlo Palermo in cui morirono Barbara Rizzo e i suoi due piccoli gemelli Giuseppe e Salvatore Asta, l’omicidio del giudice in pensione Alberto Giacomelli e tutti gli intrecci legati alla massoneria.
“Rostagno con il suo lavoro – scrivono gli avvocati di parte civile Rando e Grassa – minacciava l’esistenza dell’organizzazione mafiosa perché metteva in pericolo il suo potere criminale, fondato su pregnanti ed indissolubili vincoli interni, fatti da rapporti di fedeltà e segretezza assoluti, che venivano disvelati al pubblico con un coraggio tanto disarmante quanto efficace. Rostagno ha portato le aule giudiziarie nelle case dei trapanesi consentendo alla gente di conoscere quello che stava accadendo nel suo territorio, far conoscere la mafia e i suoi solidi legami con gli ambienti della politica e dei colletti bianchi”.
Tanti i pentiti che hanno raccontato che l’ordine di uccidere il sociologo fu dato dai vertici della mafia dell’epoca, ovvero Francesco “don Ciccio” Messina Denaro, padre dell’attuale latitante Matteo Messina Denaro, nella qualità di capo provincia, e Vincenzo Virga nella qualità di capo mandamento. Di Rostagno ha parlato anche il killer di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca. Secondo Brusca Rostagno dava fastidio alla mafia trapanese, tanto da essere definito “una camurria”. Anche il collaboratore Francesco Marino Mannoia dichiarò chiaramente che la mafia voleva Rostagno morto perché troppo simile a Peppino Impastato. Mannoia riferisce di averne parlato all’epoca con il boss di Mazara del Vallo Mariano Agate che, in un momento di ira, ne auspicava la morte.
Un omicidio, quello di Rostagno, per anni oggetto di silenzi e depistaggi che hanno tentato di ostacolare l’accertamento della verità e infangare il lavoro di Mauro Rostagno, diventato presto la spina nel fianco, o meglio “una camurria”, per la mafia locale. Un lavoro certosino, il suo, per amore della città di Trapani.
Secondo gli avvocati difensori di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” Enza Rando e Domenico Grassa “in questo scenario, il rafforzamento dell’organizzazione Cosa nostra sul territorio grazie al sangue versato da vittime innocenti, lede il prestigio di Libera perché vanifica i risultati di una lotta complessa e costosa in termini di sforzi associativi e di vite umane coinvolte” e che venga quindi “confermata integralmente la sentenza di primo grado”.
Le parti civili, quindi, chiedono la conferma della sentenza di ergastolo impugnata dalle difese degli imputati. Difese che concluderanno nei prossimi mesi, prima delle sentenza attesa per febbraio 2018. Una sentenza che arriva dopo oltre 3 anni da quella di primo grado e a quasi 30 anni dall’omicidio del giornalista Mauro Rostagno.