La Corte di Appello si è pronunciata sul caso Giambalvo
A essere dichiarati non utilizzabili sono i verbali resi il 22 gennaio e il 16 febbraio del 2016 da Lorenzo Cimarosa, cugino del capomafia e colpito da un tumore che gli fu diagnosticato in quegli stessi giorni. La malattia poi lo portò alla morte, avvenuta l’8 gennaio dell’anno scorso, e il procuratore generale, secondo il collegio presieduto da Mario Fontana, avrebbe dovuto garantire a Giambalvo (assolto in primo grado e oggetto di ricorso da parte della pubblica accusa) la possibilità di interloquire, attraverso i propri legali, con un’anticipazione del dibattimento. Il pg cioè, secondo i giudici, avrebbe dovuto ricorrere a un “incidente probatorio”.
Calogero Giambalvo, detto Lillo, era stato ascoltato dalle microspie mentre tesseva le lodi di Messina Denaro, ma contro di lui l’accusa di associazione mafiosa era caduta nel processo Eden 2, celebrato col rito abbreviato dal gup del tribunale di Palermo Fernando Sestito il 16 dicembre 2015. La corte ha adesso accolto e fatto proprie le osservazioni avanzate dagli avvocati Roberto Tricoli, Massimiliano Miceli e Enzo Salvo: “Il pm – argomenta ora il collegio di secondo grado – nell’ordinamento italiano è figura di garanzia ed è chiamato perfino a raccogliere prove a favore dell’indagato”, così “ogni qualvolta sia ragionevolmente prevedibile che la persona che ha reso dichiarazioni accusatorie a carico di terzi non potrà essere controesaminata dalla parte interessata”, il rappresentante della pubblica accusa “deve attivarsi e richiedere l’incidente probatorio ovvero l’acquisizione urgente della prova”, perché nel caso di Cimarosa “l’evoluzione della malattia in senso peggiorativo era da ritenersi prevedibile” e la procura generale lo sapeva.