Una busta di soldi per Matteo Messina Denaro da “quello di Alcamo”

L’elettricista alcamese diventato “re del vento” e quella “busta” per il latitante passata da Lorenzo Cimarosa

ALCAMO. Il nome di Vito Nicastri, finito al centro dell’operazione “Pionica” insieme al fratello Roberto e ad altri 11 uomini ritenuti organici all’organizzazione mafiosa di Salemi e Vita dai Carabinieri del Ros e dalla DIA, torna prepotentemente agli onori della cronaca. L’imprenditore alcamese, l’elettricista diventato il “Re del vento”, è stato tra i primi in Sicilia a puntare sulle energie pulite arrivando ad avere un patrimonio di oltre un miliardo e 300 milioni di euro. Oltre a tantissimi palazzi sparsi per la città di Alcamo, era suo il mega catamarano ormeggiato a Castellammare del Golfo tanti anni fa, lo stesso che ospitò il cantante Marco Masini per il compleanno della figlia. A definirlo “lord of the winds” ci ha pensato poi il Financial Times.

Vito Nicastri già nel 2009 è stato coinvolto in un’operazione denominata “Eolo”, riguardante la costruzione di parchi eolici in giro per la Sicilia e non solo. Nel 2010 il sequestro per circa un milione e mezzo di euro. Sequestro confermato poi nel 2016. Nel 2015 è stato condannato a 4 anni di carcere per omessa dichiarazione fiscale e truffa ai danni dello Stato dal Tribunale di Milano, truffa poi caduta in appello ma confermata l’evasione fiscale, pena così ridotta a 2 anni e 6 mesi di reclusione.

Vito Nicastri, “re dell’eolico”o il “signore del vento”, ha costruito un impero con la green economy, attestandosi un imprenditore dinamico, abile nel tessere importanti relazioni con i mercati che contano. Un impero diventato una sorta di Holding, una rete di imprese e collegamenti importanti. Come scrive la sociologa Marilena Macaluso nel libro scritto insieme alla collega Alessandra Dino “L’impresa mafiosa? Colletti bianchi e crimini di potere” (Mimesis Edizioni 2016), tra le tante cose, traccia un piccolo identikit dell’imprenditore alcamese: “[…] Vito Nicastri non è mafioso, ma della mafia ha acquisito il metodo, non tanto nelle sue componenti violente che pur sullo sfondo aleggiano costantemente, quanto per la capacità di posizionarsi sugli snodi cruciali delle relazioni sociali, a colmare vuoti di comunicazione […].” E ancora: “[…] Vito Nicastri mette in atto quello che secondo le categorie di Ruggiero (2008) possiamo definire un crimine di potere associato. Nel gruppo imprenditoriale che rappresenta, ciò che è legittimo e ciò che è illegittimo si fondono sulla base di uno scambio simmetrico con Cosa Nostra. Possiamo leggere come una vera e propria partnership non esplicitata, quella che si instaura tra l’imprenditore e la mafia […].”

Una sorta di “simbiosi” imprenditoriale che porta Nicastri a scalare i mercati. Già in passato era stato definito “vicino a Matteo Messina Denaro”, anche se fino ad oggi non è mai stato dimostrato direttamente. Con l’indagine “Pionica”, invece, è accusato di aver coperto e finanziato la latitanza del boss di Castelvetrano.

Le indagini odierne, che hanno portato in carcere Vito e il fratello socio in affari Roberto, sono state possibili anche grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Attilio Fogazza, Nicolò Nicolosi e Lorenzo Cimarosa. Quest’ultimo, defunto lo scorso anno, ha raccontato di “una busta di soldi” per il latitante Matteo Messina Denaro. La busta, secondo quanto dichiarato dal pentito agli inquirenti nel 2016, fu consegnata da Vito Nicastri a Michele Gucciardi, passando per Cimarosa e consegnata infine al nipote prediletto di Matteo Messina Denaro Francesco Guttadauro, nel frattempo finito in carcere.

La “busta con i soldi”, non quantificabili, venne consegnata nel 2014 a Lorenzo Cimarosa direttamente da Michele Gucciardi. In particolare, Gucciardi, aveva riferito a Cimarosa che il denaro era proveniente da “quello degli impianti eolici di Alcamo” e che si trattava solo di una tranche della somma complessiva da consegnare, viste le difficoltà di quel soggetto di reperire ulteriore denaro a causa dei provvedimenti di sequestro (e poi confisca) patiti in quel periodo.

Vito Nicastri infatti nel frattempo aveva subito un lento declino. Il suo impero negli anni è stato colpito da sequestri e confische, tanto che negli ultimi anni Nicastri si era ritirato nel suo appartamento di Alcamo, andando in giro con il classico motorino elettrico, sempre più utilizzato da soggetti sorvegliati speciali con la patente di guida sospesa o revocata. Anche se nel 2015, se pur senza patente, venne sorpreso durante un posto di blocco dei carabinieri di Alcamo alla guida di un auto.

Lorenzo Cimarosa mette a verbale che:

“Mi ha detto che praticamente erano i soldi dell’impianto di… di quello degli impianti eolici di Alcamo, e che c’erano stati problemi, ci fai sapere che c’erano stati problemi, perché aveva tutte cose sequestrate e i soldi tutti insieme non glieli poteva dare, perciò glieli avrebbe dati in tante tranches”.

E inoltre spiega chiaramente che quei soldi di “quello di Alcamo” erano indirizzati direttamente alla primula rossa di Castelvetrano:

“Li dovevo dare a Matteo Messina Denaro”.

Così, racconta Cimarosa, consegna la busta con i soldi direttamente a Francesco Guttadauro, l’unico che poteva consegnarli al latitante:

“Guttadauro Francesco, cu ci li putia passari? […] A Francesco Guttadauro li ho consegnati io.”

Inoltre Vito Nicastri sarebbe anche il reale intestatario della proprietà di Contrada Pionica a Santa Ninfa acquistata all’asta dal fratello Roberto, accusato quest’ultimo di intestazione fittizia di beni. La stessa proprietà è stata successivamente rivenduta alla VIEFFE per l’importo di 530.000 euro.

Il prezzo di vendita reale dei terreni, come scrivono gli inquirenti, è stato notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili e la differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata incassata dagli uomini di Cosa Nostra per la loro attività di “intermediazione immobiliare”.

Secondo le dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, quindi, la parte di tale somma sarebbe stata destinata per il mantenimento di Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.