Anno Zero, ecco il nuovo docu film sulla mafia trapanese

Lo hanno scritto gli investigatori di Polizia, Dia e Carabinieri sulle tracce del boss Matteo Messina Denaro. C’ è anche il compiere con la pistola

Il tempo non è trascorso, il mondo crudele e spietato di Cosa nostra resta quello di sempre. Da una parte la devozione quasi religiosa carica di misticismo per il capo mafia Matteo Messina Denaro, sanguinario e stragista, ricercato dal 1993, con una sfilza di condanne all’ergastolo, i suoi sodali vorrebbero che lui è suo padre, il defunto padrino del Belice, don Ciccio Messina Denaro, venissero paragonati a Padre Pio. “U sicco”, così continua a essere chiamato il boss latitante, “bisogna adorarlo, servirlo, seguirlo”, parlarne e parlarne sempre bene. Chi osa mettere in discussione il carisma si trova con il destino segnato, ammazzato senza pietà. Dall’altra parte giudizio spietato per chi tradisce e il tempo non lenisce i dissapori, l’odio, non suscita pentimenti. “Bene hanno fatto a ucciderlo, che dovevano fare se non questo, la colpa è di suo padre, poteva ritrattare”. La vittima della quale parlavano i mafiosi aveva 16 anni quando fu ucciso, nel 1996, si i chiamava Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino “mezza nasca”. Ammazzato dopo oltre 700 giorni di prigionia, fu sequestrato dai mafiosi nel novembre del 1993 per costringere il padre a non parlare più e a ritrattare le sue accuse. Giuseppe, fu ucciso è sciolto nell’acido. Ventidue anni dopo il giudizio non è cambiato e la soluzione finale resta condivisa. Il capo mafia poi resta in mezzo a noi, continua a possedere libertà di circolazione a dispetto di chi lo ha anche dato per morto, malconcio, malato. Non è il capo dei capi di Cosa nostra, ma questo pare non essere avvenuto per sua scelta, i palermitani a parte il cognato Filippo Guttadauro, e i nipoti Francesco Guttadauro e Luca Bellomo, gli danno preoccupazioni, a Palermo il boss percepisce aria di possibile tradimento. Ma certamente è il capo della mafia più potente, quella che tiene le chiavi di casseforti che restano segrete, la mafia trapanese con tutti i suoi altri segreti importanti, i rapporti con la politica è la massoneria. D’altra parte quando Giovanni Falcone metteva a confronto la mafia di Palermo con quella di Trapani, le distingueva dicendo che la prima rappresenta la forza militare la seconda quella capace di far muovere i capitali, i “piccioli”. E per muovere i soldi serve l’impresa, la politica ed essere dentro i salotti ed i club, le cui porte solo la massoneria è capace di aprire. Quella massoneria che può avere agevolato Messina Denaro a trovare utile ospitalità in Calabria. Quindi Messina Denaro resta capo della provincia che gli dà sicurezza, potere e denaro. La mafia non cambia , quel grido della vedova dell’agente di Polizia Vito Schifani, ucciso a Capaci il 23 maggio del 1993, resta dolorosa certezza. Loro non cambiano. E non cambia chi nella società civile li ha avuti affianco ed ha continuato a mantenerli. Come il latifondista Pietro D’Ali, fratello dell’ex senatore ed ex sottosegretario all’interno Tonino, fermatosi alle ultime nazionali, scegliendo di non ricandidarsi. Uno degli arrestati di “Anno Zero” è Vincenzo La Cascia, compiere di Pietro D’Ali che proprio qualche giorno addietro con i fratelli Tonino e Giacomo ha firmato una lettera negando ogni rapporto con i mafiosi. E invece La Cascia era al suo servizio, e adesso lo hanno arrestato trovandolo in possesso di una bella grossa pistola. La Dia in un vecchio rapporto certifico’ a suo tempo che La Cascia era suo compiere da anni nei terreni castelvetranesi di contrada Zangara, quelli della vendita fittizia a favore di Messina Denaro e Riina condotta dai D’Ali. Ed ha cagionato all’ex senatore D’Ali’ la prescrizione per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Nonostante i suoi pregiudizi penali. “Anno Zero” , il nome dato al blitz antimafia di mercoledì notte, evoca certamente nei mafiosi la nota trasmissione di Michele Santoro che in una puntata, nell’ottobre 2005, dedico’ un reportage alla Trapani degli appalti e degli affari, la Trapani che osanna chi delinque e caccia via i servitori dello Stato, come toccò al prefetto Fulvio Sodano. Non furono solo i mafiosi a protestare, protestarono il prefetto successore di Sodano, Giovanni Finazzo, i vertici della Provincia allora nelle mani di D’Ali. Non mandarono giù il fatto che i giornalisti di Anno Zero trovarono accoglienza in loro colleghi trapanesi. Qui a Trapani il coro dei giornalisti racconta le cose diversamente, e che l’ antimafia è peggio della mafia, qualcuno tenta ad oscurare il boss, dandolo per morto o malato, lui invece c’è è da ordini, sceglie i suoi emissari nel territorio. Lui è in mezzo a noi, noi n9n lo santifichiamo facciamo il tifo perché venga preso è buttato in galera. Loro, i mafiosi, lui, il boss, si nasconde, deve nascondersi, noi no, siamo liberi e possiamo farci vedere e riconoscere. Noi vinciamo, loro perdono, possono continuare a fare i loro sporchi affari, ma è destino che presto a tardi finiscano in galera e impoveriti dai sequestri e dalle confische. I loro figli sanno che per salvarsi devono cambiare. E sarà solo così la morte di Cosa nostra.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.