Morte di un boss

A 71 anni scompare il pacecoto Gaspare Sugamiele. La moglie scrisse un diario sulla mafia conosciuta in famiglia

Un pezzo di storia della mafia pacecota. Quella principalmente agricola, la mafia delle campagne, che però aprì le porte alla Cosa nostra di Riina e cominciò negli anni ’80 a diventare mafia imprenditoriale. A 71 anni è morto Gaspare Sugamiele, erede dello storico boss di Paceco, Vito Sugamiele detto “Vito nasca”. A Paceco più che a Trapani i Sugamiele hanno difeso Cosa nosta in ogni modo, applicando le severe regole dell’appartenenza alla mafia, rispettando e facendo rispettare il codice d’onore dei “punciuti”. Ma nonostante la severità e il rigore il vecchio Vito “nasca” e il figlio Gaspare Sugamiele nei primi anni ottanta non riuscirono ad evitare un tradimento, nato all’interno della loro famiglia. La moglie di Gaspare Sugamiele, Margherita Petralia, un giorno decise di fuggire via da quella casa, e andò a consegnare ai magistrati un diario dove aveva annotato tutte le malefatte dei suoi familiari, indicandoli come appartenenti a Cosa nostra. In quel diario comparve per la prima volta il nome di Vincenzo Virga, il capo mafia di Trapani. Virga veniva indicato come mafioso autorevole in quelle pagine in un periodo in cui non era nemmeno sospettato di far parte della mafia dagli investigatori, investigatori che anzi erano ancora convinti che il capo mafia di Trapani era ancora Totò Minore, già morto all’epoca in cui la Petralia scriveva i diari. La donna poi doveva essere uccisa non per i diari ma perchè avrebbe avuto una relazione extraconiugale con un uomo che indossava una divisa. Negli atti giudiziari si racconta che Girolamo Marino, detto “Mommo u nanu”, imparentato con i Sugamiele fu ucciso nel 1986 per non avere rispettato l’ordine di uccidere Margherita Petralia. Vicenda che alla fine degli anni ’90 fu ben raccontata da un altro boss della mafia di Paceco, Francesco Milazzo. Dopo quei diari della metà degli anni ’80 scattò la retata, in cella finirono i due Sugameli, padre e figlio, ed altri uomini d’onore di Paceco. Quello fu denominato il processo alla “vecchia mafia” di Trapani, un processo che rimase mai cominciato per decenni, attraverso artifizi vari, complici anche certuni avvocati difensori. Fu riesumato nel 1992 da due pm, Luca Pistorelli e Gabriele Paci, lo tirarono fuori dagli armadi impolverati del Palazzo di Giusrizia di Trapani. Poi arrivò il processo dove Gaspare Sugamiele era imputato di omicidio. Ma nel 2002 dinanzi ai giudici di appello arrivò la ritrattazione della donna, i cui racconti frattanto venivano riscontrati con le dichiarazioni del pentito Ciccio Milazzo. La donna però decise di fare un passo indietro e fece giungere ai giudici le sue ritrattazioni:   «Il memoriale – confessò Margherita – lo scrissi in un momento difficile della mia vita. Spinta dall’odio verso mio marito, i suoi familiari e compari, scrissi delle cose che in parte corrispondono a verità, ma che per lo più sono frutto di fantasie e deduzioni personali. Pensavo che di lì a poco sarei morta e volevo che mio marito la pagasse». Gaspare Sugamiele pare che non abbia più incontrato la moglie. Lui era libero da qualche tempo, nonostante l’ergastolo ugualmente inflitto dai giudici, che non credettero alla ritrattazione della moglie. Scarcerato e a casa per gravi motivi di salute Il questore Agricola ha intanto firmato un decreto che vieta per il boss di Paceco pubblici funerali.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.