Restano in carcere i due migranti arrestati per la rivolta sulla Vos Thalassa. Loro si sono difesi negando le accuse: “Noi non abbiamo minacciato nessuno, avevamo paura per noi”
Il gip del Tribunale di Trapani Caterina Brignone ha convalidato e applicato la misura cautelare in carcere per i due migranti arrestati per la rivolta a bordo del rimorchiatore battente bandiera italiana Vos Thalassa. Il giudice Brignone ha accolto la richiesta firmata dal procuratore Morvillo e dai pm Sgarrella e Tarondo.
Tuani Ibrahim Mirghani Bichara, sudanese, di Darfur, 31 anni, e di Amid Ibrahim, ganese, di Ghana, 26 anni, sono stati arrestati per i reati di minaccia e violenza nei confronti del comandante, del primo ufficiale e di un marinaio della Vos Thalassa e per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le indagini condotte in questi giorni attraverso gli interrogatori da parte degli agenti dello Sco, della Squadra Mobile di Trapani e del nucleo d’intervento speciale della Guardia Costiera, sono state concentrate ad accertare se a bordo della Vos Thalassa i migranti si sono “ammutinati” come aveva raccontato lo stesso equipaggio che via radio domenica aveva chiesto l’aiuto in soccorso del Guardiacoste . La Procura ha anche acquisito le registrazioni delle comunicazioni radio e lo scambio di quelle via mail con la centrale operativa di Roma. A incolpare gli indagati oltre alle testimonianze dell’equipaggio della Vos Thalassa, che li aveva salvati da un naufragio assieme ad altri 65 migranti, ci sono stati i racconti di alcuni dei loro compagni di quel disgraziato viaggio e qualcuno ha ammesso che i due hanno utilizzato la mano pesante con comandante della Vos Thalassa, il rumeno Corneliu Dobrescu è anche col primo ufficiale Cristian Paluccio e col marinaio di guardia Pantaleo Lucivero. Qualcuno insomma avrebbe ammesso che qualcosa più delle minacce ci sarebbe stato, ma solo per la paura di essere riportati in Libia. I tre marittimi della Vos Thalassa sono stati pesantemente minacciati, secondo l’ipotesi di accusa, non solo dai due fermati ma anche da altri soggetti che però gli investigatori non sono riusciti a individuare, al marinaio è stato fatto intendere che se non avesse chiamato il comandante per far cambiare la rotta correva il rischio di essere gettato in mare, poi la minaccia si è fatta più seria quando i due fermati hanno fatto segno con le mani che erano pronti a tagliare la gola ai componenti dell’equipaggio. In totale per quanto emerso dalle indagini a provocare la rivolta sarebbero stati assieme ai due indagati, altri 10 migranti. Tra loro comunque escluso che ci fossero gli scafisti. I due indagati oggi dinanzi al giudice Brignone hanno risposto alle domande, assistiti dal loro difensore, l’avvocato Pietro Maria Vitiello. E le loro risposte hanno ricostruito un diverso scenario, rispetto a quello rappresentato dai rapporti informativi arrivati in Procura. Hanno negato di avere minacciato e minacciato di morte l’equipaggio. Hanno detto che uno dei migranti una volta a bordo della Vos Thalassa si è reso conto grazie ad una bussola presente nel telefonino che la nave stava seguendo una rotta verso Sud, capendo così e diffondendo la notizia nel gruppo che stavano tornando in Libia. I due indagati al giudice hanno descritto le fasi concitate a bordo, non appena i migranti hanno capito che sarebbero stati consegnati ai libici. “Noi tutti avevamo paura di tornare in Libia”. Il gesto mimato del taglio della gola “non era una minaccia per l’equipaggio (della Vos Thalassa ndr) ma voleva rappresentare – hanno detto al giudice – il nostro destino, ciò che ci sarebbe accaduto se fossimo stati consegnati ai militari libici”. D’altra parte, evidenzia l’avvocato Vitiello, “nessuna arma da taglio è stata trovata addosso agli arrestati o agli altri migranti”. Le spinte fatte da alcuni migranti “che non sono andate mai oltre, non sonodegenerate in qualcosa di più grave, era solo la rappresentazione della paura che quelle donne e quegli uomini stavano vivendo”. In effetti il comandante della Vos Thalassa aveva contattato la guardia costiera libica e non avendo questo molto carburante aveva chiesto al rimorchiatore di avvicinarsi verso le acque territoriali della Libia. I migranti tutti hanno raccontato di essere partiti nella serata di sabato scorso da Zuara, gli scafisti hanno messo la prua dell’imbarcazione verso la zona delle “piattaforme”, a est dalla costa libica, verso la Tunisia, poi hanno abbandonato e sono tornati indietro con un’altra imbarcazione. Racconti che hanno provato che per i traffici di essere umani, in assenza delle navi Ong, gli scafisti sono tornati all’antico, ad usare barconi in legno facendoli dirigere verso le zone marine petrolifere, dove ci sono i rimorchiatori a vigilare, pronti per i dovuti salvataggi. Nei verbali quello che non cambia sono i racconti delle violenze. Hanno detto che per due giorni sono stati trattenuti dentro una delle tante “safe house”, veri lager, una donna ha detto che lì ha subito una violenza sessuale