Confisca da 400 milioni per l’ex deputato Giuseppe Acanto (Biancofiore). Le indagini della Dia di Palermo
Da socio negli anni 90 di un commercialista, Giovanni Sucato, che truffò migliaia di palermitani, anche boss mafiosi, creando una vorticosa raccolta pari a 100 miliardi delle vecchie lire, ingannando tutti sulle sue capacità a raddoppiare interessi sui denari a lui affidati, finito poi nel maggio 1996 morto bruciato dentro la sua auto, a “ragioniere” delle società gestite dai mafiosi di Villabate (Palermo), fino ad approdare nel 2004 nel Parlamento regionale siciliano, eletto nella lista di centro “Biancofiore” (ispirata dall’allora governatore Cuffaro). Questa in sintesi la storia di Giuseppe Acanto, 58 anni, contro il quale la Dia di Palermo su ordine del Tribunale delle misure di prevenzione di Palermo –collegio composto dal presidente Raffaele Malizia e dai giudici Luigi Petrucci e Giovanni Francolini – ha eseguito una confisca da 400 milioni di euro e notificato il provvedimento di applicazione della sorveglianza speciale per i prossimi 4 anni. Per i giudici Acanto è “legato ai vertici di cosa nostra di Villabate”. Tre anni addietro Acanto aveva subito un sequestro preventivo pari al doppio del valore dell’attuale confisca. I giudici gli hanno infatti restituito la titolarità di alcune società, “Gruppo Crocco” e quindi Motorgas, Blu Gas, Elgas, Sogeas, Gigas, Gas Service, Lambdagas e quote della Motor Oil: dissequestrati anche i distributori di carburanti tra Palermo, Partinico, Caltanissetta, Catania e Castellammare del Golfo. Ma resta comunque eclatante l’odierna confisca che riguarda 25 società confiscate, tra queste le quote di Acanto dentro Motorgas e Energas, negozi di abbigliamento, una casa per assistenza agli anziani e 12 immobili tra Misilmeri e Madonna di Campiglio. Alla decisione i giudici sono arrivati a seguito di una proposta di misura di prevenzione patrimoniale formulata dal Direttore della DIA, dopo una complessa attività investigativa. Ragioniere per titolo scolastico e ragioniere di fatto della cosca di Villabate come ha riferito ai pm di Palermo il collaboratore di giustizia Francesco Campanella. Nino Mandalà, il boss che gestì per un periodo la latitanza del capo mafioso corleonese Bernardo Provenzano, era il punto di riferimento per Acanto nella gestione dei conti della famiglia mafiosa. Riscontri poi la Dia ha trovato a proposito del fatto che acanto fosse stato socio del cosiddetto “mago dei soldi” Giuseppe Sucato, personaggio che si faceva chiamare avvocato e che truffò tantissima gente dicendo che assicurava il raddoppio dei capitali a lui affidati. Poi Sucato di colpo sparì.E questo dopo che la mafia, che aveva creduto nelle sue capacità, cominciò a chiedere che fine avevano fatto i soldi a lui affidati. Alcuni collaboratori di Sucato furono uccisi, Acanto subì un attentato incendiario al suo studio di consulenza e anche lui si rese uccel di bosco, Campanella ha raccontato che proprio Acanto si era fatto carico di portare una parte dei soldi raccolti dentro società del Nord Italia. Sucato infine fu trovato morto carbonizzato dentro la sua auto nei pressi di Bolognetta il 30 maggio 1996. Acanto poté tornare a Palermo solo quando un mafioso di Villabate si occupò di mettere una parola buona per lui, e riprese l’attività di commercialista, dedicandosi alla costituzione di società in nome e per conto degli uomini d’onore. Aiutato dai boss che avevano contatti dentro l’amministrazione del Comune di Villabate (in seguito sciolto per infiltrazioni mafiose) si fece nominare Direttore del locale Mercato Ortofrutticolo e avvicinatosi all’attività politica, si occupò di sviluppare ogni operazione economica d’interesse della locale famiglia mafiosa, come la costruzione di un centro commerciale.
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