La richiesta di pizzo filmata dall’imprenditore coraggioso: “Nelle case degli altri si bussa”

Il pizzo, la mafia e l’imprenditore coraggioso nell’operazione “Cupola 2.0”

PALERMO. “Na i casi di li cristiani quannu si veni si bussa”, è questa la richiesta di pizzo avanzata dalla mafia di porta nuova a un imprenditore palermitano che stava facendo dei lavori in zona. “Quando si va a casa delle persone prima si bussa”, questo dice il soggetto che si presenta al costruttore come “ambasciatore” di altre persone. “Noi, non le dobbiamo dare spiegazioni”, è categorico, non interessa chi, ma sono loro che comandano. La richiesta estorsiva però è stata filmata dall’imprenditore coraggioso Giuseppe Piraino che ha immediatamente denunciato tutto ai Carabinieri. Dopo diversi incontri, dopo aver addirittura buttato fuori dal cantiere gli operai “perché così mi hanno detto di fare”, l’imprenditore ha deciso di munirsi di videocamera nascosta e filmare tutto.

Piraino è uno degli imprenditori che senza esitazione ha denunciato il pizzo contribuendo agli arresti dell’operazione “Cupola 2.0” che ha portato 46 arresti (oggi saliti a 48) tra affiliati e boss mafiosi palermitani. Tra loro anche il boss Settimo Mineo, “re” di corso Tukory, quello che sarebbe stato indicato dagli inquirenti come erede di Totò Riina, il nuovo Capo dei Capi insomma. Mineo, ufficialmente gioielliere, ha un lungo curriculum criminale: due condanne per mafia alle spalle, la prima durante il Maxi Processo di Falcone e Borsellino e l’altra un po’ più recente. Un mafioso con un “pedigree” importante che per anzianità è stato indicato come erede del defunto Totò Riina a capo della nuova Cupola provinciale, ricostruita con tanto di regole scritte e nuovi accorti tra le famiglie mafiose.

Luigi Marino

Tra gli arrestati figura anche Luigi Marino, per i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova. È proprio lui il soggetto filmato dall’imprenditore Piraino mentre avanza la richieste di pizzo velata da un “aiuto a noi”, un noi generico “non ti dobbiamo dare nessuna spiegazione” – afferma Marino all’imprenditore che chiedeva di sapere chi ci fosse dietro questo “noi”. Ma nel linguaggio mafioso, soprattutto se si conoscono certe maledette dinamiche tipiche delle organizzazioni mafiose, non c’è dubbio. Il “noi” è la famiglia mafiosa, in quel caso quella della zona in cui erano in corso i lavori. “Na i casi di li cristiani quannu si veni si bussa”, è una frase sentita parecchie volte, ed è l’essenza stessa della richiesta estorsiva mafiosa, della cosiddetta “messa a posto”, tradotto: “Se vieni a lavorare nel nostro territorio ci devi pagare”. Nel caso specifico chiedevano al costruttore il 3%, come “aiuto a noi”. Ma l’imprenditore non si piega e al suo interlocutore spiega: “Lei consideri che ha davanti uno sbirro”. Da lì a poco la denuncia, le indagini e infine gli arresti dei giorni scorsi.

Oggi l’imprenditore, in un’intervista rilasciata alla giornalista Romina Marceca dell’edizione palermitana de La Repubblica, afferma che “le autorità ci sono. Noi non siamo soli, sono i mafiosi che devono rimanere soli. Per questo chiedo a tutti gli imprenditori di farsi avanti e denunciare senza paura perché siamo ormai tanti a denunciare”. Oggi infatti sono sempre di più gli imprenditori e i commercianti che scelgono di denunciare e che aderiscono ad “Addio Pizzo” o ad altre associazioni Antiracket e Antiusura. Una battaglia, prima che di legalità, di civiltà. Perché quella della denuncia è l’unica strada percorribile.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.