PALERMO. “Quello di Ortolan è il racconto di vita quotidiana di uno sbirro a Palermo negli anni più difficili”, così ha esordito Umberto Santino, Presidente del Centro Studi Peppino Impastato, ieri pomeriggio alla presentazione del libro “Io, sbirro a Palermo” (edito da Melampo Editore) di Maurizio Ortolan, l’investigatore del Nucleo centrale anticrimine e poi successivamente dello Sco, che ha lavorato a Palermo negli anni ’80 e ’90 fino alla cattura di Bernardo Provenzano nel 2006. Ortolan, oltre ad essere un abile investigatore, ha lavorato con Giovanni Falcone nel 1989 come dattilografo durante gli interrogatori per il Maxi Processo. È stato anche l’agente di scorta del collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia e di altri “pentiti”. È stato il custode “per una notte” della bibbia e di alcuni “pizzini” di Bernardo Provenzano, bibbia piena di simboli e codici che darà vita al cosiddetto “codice Provenzano”, in parte ancora avvolto da un fitto mistero. Ed è proprio dei tanti misteri di Palermo che si occupa quotidianamente il giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo, anche lui presente all’incontro al Palazzo Gulì, oggi “No Mafia Memorial”, un edificio nel cuore di Palermo che grazie al Centro Studi Peppino Impastato diventerà un luogo fruibile a tutti con biblioteca, emeroteca e sarà centro di incontri e mostre.
Maurizio Ortolan è stato ispettore di polizia dal 1987 al 2013, ha lavorato nella squadra “Catturandi” di Palermo e vanta missioni all’estero come Germania, Spagna, Stati Uniti e Australia. Nella biografia del libro scrive che “non è mai stato invitato a Porta a Porta”. Non è uno poliziotto da “palcoscenico”, ha svolto il suo lavoro in maniera riservata e oggi, una volta in pensione, ha deciso di riprendere gli appunti della sua vita a Palermo e metterli insieme per raccontare momenti, episodi, emozioni, esperienze, della sua lunga permanenza siciliana, da “sbirro” in un Palermo insanguinata dalla guerra di mafia. Da sbirro romano catapultato in una Palermo feroce.
La prefazione del libro è curata della sociologa dell’Università degli Studi di Palermo Alessandra Dino che spiega subito: “Ortolan sembra utilizzare un metodo etnografico; dal racconto emerge una dimensione della memoria come un fuoco che si rinnova. Diversi sono i passaggi emotivamente interessanti, ma c’è un altra protagonista: la Sicilia. Ortolan la guarda da straniero. Parla dell’esagerazione della Sicilia e, come un etnografo, racconta la polizia dall’interno, racconta anche l’evoluzione delle tecniche, dei poliziotti stessi che maturano l’esperienza in strada, quindi sul campo.” Ortolan nel libro racconta anche episodi personali con il collaboratore di giustizia Marino Mannoia, eventi tragici come le stragi, momenti difficili e di intenso lavoro. Ma anche episodi ironici, come l’episodio delle sigarette di Falcone: “Avevo prestato due pacchetti di sigarette al dott. Falcone, poi nell’aprile del 1992 ci siamo incrociati al Ministero a Roma e mi disse: ‘Maurizio, ti devo ancora due pacchetti di sigarette, non me lo dimentico’.” Il mese dopo Falcone saltò in aria con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta a Capaci. Ortolan racconta la sua esperienza palermitana anche con un pizzico di malinconia. Anni difficili, di duro lavoro con diverse difficoltà ma che racconta con profonda passione. “La sua è una narrazione sobria, oggi rara, mette insieme amore e passione per la professione ma nello stesso tempo sa anche essere critico e mettersi nella pelle degli altri, anche se si tratta di un mafioso. Riesce a mantenere un grande rispetto e una profonda umanità” – ha aggiunto la sociologia Alessandra Dino. “Questo libro mette in luce diversi aspetti interessanti e ci pone degli interrogativi: cosa è diventata oggi cosa nostra? Chi è questo nuovo capo di Cosa nostra? Che rapporto ha cosa nostra con la religione?” – sottolinea la Professoressa Dino.
“Qui questa sera c’è la polizia, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine, i veri eroi di Palermo. Sono eroi perché lavorano costantemente per svelare i tanti misteri di Palermo. Anticipavano la benzina per gli inseguimenti e per poter andare ad acciuffare i latitanti, sacrificavano tutto per portare a termine un’operazione. Sono eroi, i nostri eroi. E non mi stancherò mai di dirlo, perché hanno stipendi da fame e lavorano in condizioni difficili. Sono persone semplici, ma come diceva don Pino Puglisi, fanno qualcosa, quindi ‘se ognuno fa qualcosa’ possiamo fare molto” – ha affermato il giornalista Salvo Palazzolo soffermandosi molto sul famoso appunto di Falcone ritrovato l’anno scorso nell’bunkerino del Tribunale di Palermo da Giovanni Paparcuri, storico collaboratore di Falcone e Borsellino. Un appunto che Alqamah.it ha visto e raccontato in una lunga intervista a Giovanni Paparcuri lo scorso anno.
“Ortolan non racconta solo la storia, ma anche la realtà. Gli Inzerillo oggi sono tornati a Palermo, Messina Denaro è ancora forte e latitante. Il codice Provenza è ancora un mistero. Sono tante le cose che non sappiamo e tanti sono i misteri che avvolgono questa città. Storie come quella di Ortolan sono le grandi storie di Palermo che devono essere raccontate.”
Maurizio Ortolan ha anche rispolverato vecchi ricordi di Falcone, il suo metodo di lavoro, le tante sigarette fumate durante gli interrogatori, le “cappe” di fumo che sovrastavano le stanze, gli infiniti appunti che il giudice prendeva a mano (tra questi anche l’appunto ritrovato da Paparcuri). “Falcone usava anche il dialetto, era per lui uno strumento per oltrepassare la scrivania, amava il siciliano e ci teneva a tradurmi molti passaggi per permettermi di capire, io da romano trapiantato a Palermo facevo davvero molta fatica. Lui aveva anche la fissa per i riscontri, a tutti chiedeva di poter riscontrare quello che veniva descritto a voce, era un’impostazione un po’ “all’americana”. Ricordo per esempio quando chiese a Marino Mannoia se si poteva riprodurre la raffineria di eroina, per poter avere più riscontri possibili. Cosa che non si poteva assolutamente replicare, anche Mannoia si stupì di questa strana richiesta di Falcone.” Nel libro c’è spazio anche per Aldo Moro, di cui Ortolan è stato allievo alla Sapienza di Roma e a cui avrebbe voluto chiedere la tesi.
“In questo libro si racconta come si fa l’antimafia quotidiana, quella vera, c’è chi la chiama eroica, è un’antimafia senza vetrina portata avanti tra mille difficoltà. Episodi quotidiani che racconta senza fare sconti, chi non ne esce benissimo è certamente lo Stato per le condizioni in cui faceva lavorare i suoi rappresentanti. Chi glielo faceva fare? Come disse Falcone, per loro era solo ‘lo spirito di servizio’” – ha concluso Umberto Santino.