Nino Di Matteo, Saverio Lodato e il “Patto sporco” tra mafia e Stato: “Trattavano mentre in Italia si moriva”

Il silenzio sul processo trattativa? Perché scomodo

PALERMO. “Si tratta di un processo storico, per la prima volta troviamo alla sbarra mafiosi, politici e uomini dello Stato”. È questo l’incipit dell’incontro di ieri al Teatro Biondo di Palermo. Ad affermarlo Giorgio Bongiovanni, direttore di AntimafiaDuemila, che ieri ha moderato la presentazione del libro del giornalista Saverio Lodato e del dott. Nino Di Matteo, oggi alla Dna (Direzione Nazionale Antimafia) ma fino a qualche mese fa Pubblico Ministero a Palermo alla guida del pool di magistrati che indagò sulla cosiddetta “Trattativa Stato-mafia”. Di Matteo, uscito vincitore dall’inchiesta che ha condotto per oltre 9 anni insieme al pool composto dai magistrati Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, ieri ha presentato il libro intitolato “Il Patto Sporco” (edito Chiarelettere) proprio sul processo di Palermo che ha fatto molto discutere. Un processo coraggioso, che per la prima volta ha messo in luce ombre e verità inenarrabili. Un processo mediatico, ma non fino in fondo in realtà, che per anni ha negato l’esistenza della trattativa tra soggetti deviati dello Stato e la mafia negli anni delle stragi. Anni duri, che portarono gli stessi magistrati che indagavano ad essere ritenuti, da molti, “eversivi, pazzi.” Invece la sentenza emessa lo scorso 20 aprile dalla Corte di Assiste di Palermo presieduta da Alfredo Montalto, giudice a latere Stefania Brambille insieme a sette giudici popolari, ha dato ragione, in primo grado, alla tesi dei magistrati palermitani condannando mafiosi, politici e uomini appartenenti allo Stato per “minaccia a corpo politico dello Stato”.

Ieri pomeriggio tra i relatori, in un Teatro Biondo gremito, oltre agli autori del libro, hanno partecipato Carlo Smuraglia, Presidente Onorario del’ANPI, l’Avvocato Armando Sorrentino e il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. A dividere gli interventi dei relatori le letture degli attori Claudio Gioè e Carmelo Galati.

L’Avvocato Sorrentino ha sottolineato l’importanza della sentenza “Trattativa” come punto di partenza per una vera democrazia e non solo come l’apice di un processo e di un lavoro di indagine da parte del pool.“La sentenza chiarisce, ma restano ancora altri misteri da svelare, o meglio segreti che qualcuno continua a mantenere come tali. Falcone aveva già intuito nel 1987 cosa ci fosse dietro alcuni episodi, non era, quindi, solo mafia. Questo libro parte dall’inizio, dalle diverse trattative e supera l’idea che lo Stato non può processare se stesso. Questa sentenza – ha aggiunto l’Avv. Sorrentino – possiamo dire che è il recupero di una moralità pubblica dispersa.”

Per il dott. Giuseppe Lombardo, Procuratore aggiunto che si occupa di ndrangheta a Reggio Calabria, il processo trattativa è “un atto di coraggio che dà coraggio”. “Con Nino Di Matteo e il pool parliamo la stessa lingua. Questa sentenza è la ricostruzione di un grosso inganno.” Lombardo ha anche fatto riferimento ai profondi legami tra cosa nostra e la ndrangheta, legami che hanno radici profondissime nel tempo. Lombardo ha condotto le indagini del processo sulla cosiddetta “ndrangheta stragista”. “Le mafie non si sono mai mosse in maniera isolata, è sempre esistito un sistema mafioso” – ha sottolineato Lombardo. Inoltre ha fatto riferimento ai carabinieri uccisi tra il 1993 e il 1994, stragi inizialmente etichettate come “ragazzate” solo perché consumati ai danni di carabinieri da un soggetto poco più che maggiorenne e uno minorenne. “Solo quando abbiamo iniziato a parlare di quelle stragi, qualcuno si è accorto che c’erano state delle rivendicazioni con la sigla “Falange Armata”. Nessuno – ha concluso il pm Lombardo – si è mai posto la domanda di cosa si nascondesse dietro quella rivendicazione.”

Il dott. Carlo Smuraglia, partigiano, politico e docente universitario, ha invece ricordato la modalità con cui è stato pensato il libro “domande e risposte” che ricordano un po’ un precedente libro di Saverio Lodato “Il Ritorno del Principe” scritto con il Procuratore Roberto Scarpinato. Smuraglia ha quindi sottolineato che “il merito dei due autori è quello di entrare nel merito di una sentenza lunga oltre 5 mila pagine e renderla chiara e semplice da capire. Dopo la sentenza la notizia è scomparsa, come se non facesse più notizia. Questo libro permette a tutti di conoscere e capire cosa c’è dietro questo processo. Di Matteo è stato attaccato, minacciato, ha subito anche l’invidia, ma è andato avanti per la sua strada. Lodato non guarda in faccia nessuno e pone delle domande che aiutano a capire ma soprattutto ad approfondire. Ce ne fossero di giornalisti e magistrati così.” Smuraglia ha fatto anche riferimento a quando era componete laico del CSM negli anni in cui si votò contro la nomina di Falcone a capo dell’Ufficio Istruzione. Smuraglia in quell’occasione votò favorevolmente: “Votare a favore voleva dire dare seguito al suo importante lavoro, votare contro voleva dire smontare quel sistema. Quando questo Paese sarà davvero democratico? Le guardie non possono strizzare l’occhio ai ladri. Ci sono state figure politiche – ha concluso Smuraglia – che hanno avuto rapporti con la mafia, ma anche se non condannati, non hanno ricevuto lo sdegno pubblico. Dobbiamo ringraziare Di Matteo e gli altri magistrati perché ne va del nostro futuro e della nostra democrazia”.

Il pm Nino Di Matteo ha ricordato gli anni di negazione e di accuse contro lui e il processo: “Non se ne parlava perché era una vicenda scabrosa, scomoda. Ci hanno etichettati come magistrati politicizzati, eversivi, e dopo la sentenza si è alzato un muro di gomma di silenzio. Nessuno ha commentato, nessuno ha detto niente e non se ne parla più. Chi ha portato avanti la delegittimazione oggi resta in silenzio. Un silenzio assordante. Il nostro lavoro, costato veramente lacrime e sangue, con questo libro resta scolpito ed è alla portata di tutti” – ha sottolineato Di Matteo che non ha nascosto l’amarezza per quell’isolamento e per “il silenzio” su quel processo storico e sicuramente importante per raggiungere la verità su gli anni delle stragi. “La trattativa non evitò altro sangue, ma lo provocò. La sentenza ci dice che ha portato all’accelerazione dell’eliminazione di Borsellino e che le stragi di Firenze, Milano e Roma furono il frutto avvelenato della stessa trattativa. Tre Governi – ha aggiunto – subirono e percepirono chiaramente le minacce e le richieste di Cosa nostra ma nessuno degli uomini di Stato ha denunciato quel che stava accadendo. Questo lo afferma una sentenza emessa nel nome del popolo italiano dopo 5 anni di dibattimento e oltre 9 di indagini. Il primo governo Berlusconi, al quale le richieste di cosa nostra pervennero dal tramite di Marcello Dell’Utri, – continua Di Matteo – si adoperò per esaudire le richieste della mafia attraverso alcune norme inserite nel decreto Biondi, che poi non fu convertito in legge per l’opposizione, tardiva, del Ministro Maroni che si accorse che si stava facendo un regalo ai mafiosi. Tutto questo mentre, almeno fino al 1994, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi continuava a pagava diversi milioni (di lire) a Cosa nostra. Un politico ancora di primo piano e protagonista della politica Italiana. Ecco come si spiega il silenzio per questo processo. Questa sentenza – ha concluso Di Matteo – indica la strada per arrivare alla piena verità, una verità parziale è pur sempre una verità negata. Noi siamo stati molto vicini dalla verità, ma tutto quello che è successo mi fa pensare che questo Paese ha paura della verità.

“Per Palermo questa è una serata di rottura. – ha affermato il giornalista e coautore del libro Saverio Lodato – Noi siamo qui per dimostrare che di questo processo abbiamo capito tutto quello che c’era da capire.  Per decenni ci hanno raccontato una storia falsa. La trattativa c’è stata, e il silenzio, di molta stampa e di molti opinionisti, è davvero incredibile”. Lodato ha fatto riferimento ai tanti giuristi, giornalisti e politici che hanno scritto contro il processo etichettandolo come “privo di fondamento”, invece la sentenza di primo grado ha dimostrato il contrario. “Matteo Messina Denaro è l’espressione di questo ventennio. Ha protezioni eccellenti. È pensabile che nel 2018 sia ancora latitante? Gli hanno fatto terra bruciata, arrestati fiancheggiatori, familiari, ma lui è ancora introvabile. La mafia non ha fatto tutto da sola e non fa neanche oggi tutto da sola”. Infine Lodato si è soffermato sulle parole, a suo giudizio gravissime, del generale Mario Mori durante un incontro in una scuola. “Un condannato a 12 anni che tiene un incontro sulla legalità in un scuola la cui dirigente è la sorella di De Donno e afferma che si curerà per vivere il più a lungo possibile per vedere morire i suoi nemici, e nessuno si indigna? Viviamo in un Paese in cui i giornali non si indignano più”.

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteAl via la mostra di Antonio Raimondi ad Alcamo
Articolo successivo“Il campus universitario ericino fa un passo avanti”
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.