Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, contro le “mostruosità” di chi ci sta governando in Italia
di Enrico Rossi*
Sono morti in 117 al largo della Libia. Solo tre si sono salvati. Perché i soccorsi sono arrivati tardi, perché si è atteso per ore e ore che intervenisse la guardia costiera libica.
La storia dei salvataggi in mare nel nostro Paese è tragica. Dopo l’ottima iniziativa di Mare nostrum, per spendere meno, vennero ridotte le navi e i mezzi militari impegnati nelle operazioni. Quindi arrivarono numerose le o.n.g. Poi le o.n.g. furono definite ”taxi del mare”, per primo da Luigi Di Maio poi da tanti altri, anche purtroppo del campo democratico. Il risultato alla fine è che sono state impedite di fare il loro lavoro e sono state cacciate. Ora Salvini dice spudoratamente che in ogni caso i porti devono restare chiusi perché, questo è il senso del suo aberrante ragionamento, quanto più umani moriranno in mare quanto prima smetteranno di venire. La verità è che in mare si continua a morire come e più di prima ma i gommoni continuano ugualmente a prendere il largo.
Che fare?
Noi, è vero, non abbiamo l’obbligo di accoglierli tutti, ma abbiamo il dovere etico e giuridico di salvarli tutti.
Ciò che sta accadendo è mostruoso, contrario ad ogni principio di umanità, è mancanza di soccorso a chi rischia e perde la vita, un reato secondo le regole del mare.
Oggi dalla Toscana parte il treno dei ragazzi per Auschwitz per visitare i campi di sterminio.
Io sono andato più volte ad accompagnarli. Sul posto dell’orrore, viene spontaneo chiedersi come potevano sopportare tutto ciò coloro che abitavano lì vicino e perciò non potevano non essere a conoscenza di quello che stava accadendo. Adesso lo sappiamo, pensando all’oggi.
Anche noi non potremo mai dire che non sapevamo. Perciò se faremo finta di nulla, se non reagiremo, saremo anche noi responsabili per la nostra parte.
Noi possiamo opporci, facilmente, impegnandoci, senza rischiare, perché siamo ancora liberi di manifestare il nostro pensiero e di organizzarci.
Certo, non ci laveremo la coscienza con un post, né con una foto, ben scelta, di uno dei tanti naufragi, messa sotto buone e giuste parole. Ancor meno potremo sentirci sollevati cliccando un like.
Il mondo virtuale di Facebook o di altri social non cambierà di una virgola la realtà esistente. Al massimo potrà dare un contributo a far sapere, a prendere consapevolezza e ad indignarsi.
Ma questo non basta.
Occorre una presenza fisica, organizzata, solidale. Solo impegnando i nostri corpi, insieme agli altri, possiamo dimostrare a noi stessi che siamo ancora vivi e umani e capaci di influire sulle vicende umane.
Io penso ad una mobilitazione forte, pacifica ovviamente, permanente in ogni città, quartiere e paese, in ogni scuola e luogo di lavoro. Senza tregua. Giorno dopo giorno.
Con determinazione e tenacia, lottare, lottare e ancora lottare fino alla vittoria, resistendo un minuto in più dei nostri avversari finché il governo non cambierà idea e ristabilirà un programma di ricerca e salvataggio nel canale di Sicilia.
È già stato fatto e bene dal governo Letta. Funzionò finché non fu smantellato. Si può fare ancora.
Quanto all’accoglienza si deve invece fare meglio, molto molto meglio di quanto finora non sia stato fatto in Italia e in Europa. Questo è un problema essenziale su cui dobbiamo elaborare un nostro progetto per evitare tutti gli errori commessi.
Però ora uomini donne e bambini stanno morendo sotto i nostri occhi mentre noi ci giriamo da un’altra parte. C’è chi dice che è giusto così. Come gli aguzzini nazisti che al processo di Norimberga si difesero dicendo di avere solo obbedito alle leggi.
Speriamo che di noi si potrà dire un giorno che combattemmo e forse che fummo sconfitti lottando per un’idea dell’umano. Ma non che fummo ignavi, coloro, dice Dante, “che mai non fur vivi”.
*Presidente Regione Toscana