Condanne per favoreggiamento al latitante Matteo Messina Denaro
La Corte d’Appello di Palermo ha confermato, con lievi riduzioni di pena, le condanne stabilite in primo grado dal Gup a carico di sei favoreggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro coinvolti in una inchiesta del 2015 che fece luce sull’ultima rete di “postini” al servizio del boss castelvetranese. Tra gli imputati, accusati a vario titolo di mafia e favoreggiamento, anche il capomafia Domenico Scimonelli, boss di Partanna, tra i fedelissimi del padrino trapanese che ha avuto 14 anni. Scimonelli, secondo i pm avrebbe anche riciclato in Svizzera i soldi di Messina Denaro. A 14 anni e 4 mesi è stato condannato il capomafia di Salemi Michele Gucciardi e a 10 Pietro Giambalvo, uomo “d’onore” della “famiglia” di Santa Ninfa. Rispettivamente 11 e 8 anni hanno avuto Vincenzo Giambalvo, altro presunto esponente del clan di Santa Ninfa, e il salemitano Michele Terranova (per l’imputato, difeso dagli avvocati Domenico La Blasca e Amalia Imbrociano, il reato di associazione mafiosa è stato riqualificato in concorso esterno). Per favoreggiamento alla mafia, 4 anni di carcere sono stati inflitti all’autotrasportatore Giovanni Loretta, di Mazara del Vallo. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido, ricostruì la rete delle conversazioni del boss Messina Denaro con gli uomini del suo clan. Attraverso i ‘pizzini’ i fedelissimi del padrino ricercato fissavano date, incontri curando quello che della latitanza di un capomafia è uno degli aspetti principali: la trasmissione delle comunicazioni. Bigliettini ripiegati tanto da diventare minuscoli, avvolti nello scotch perche’ nessuno ne leggesse il contenuto. I favoreggiatori li prendevano, li nascondevano sotto i sassi e li consegnavano ad altri postini in un giro tortuoso di cui non si conoscono ancora molti passaggi. Tra le figure principali spiccava quella di Vito Gondola, detto Coffa, 77 anni, capomafia storico di Mazara del Vallo deceduto nel corso del processo. Una vecchia conoscenza dei magistrati che l’avevano arrestato e fatto condannare in via definitiva per associazione mafiosa. Come Michele Gucciardi, Pietro Giambalvo e Giovanni Scimonelli, imprenditore, proprietario di un supermercato. “Ti prendi una fascella di ricotta, tu il graniglio quando me lo porti?”, si dicevano parlando in aperta campagna sperando cosi’ di evitare le microspie. Ma la polizia, che in questa indagine ha usato tecniche sofisticatissime, e’ riuscita a intercettarli lo stesso. Meno fortunato, pero’, è stato l’esito della caccia ai pizzini: in tre anni di indagine neppure un bigliettino scritto a mano dal solito fedelissimo del boss, mai identificato, e’ finito nelle mani degli investigatori. La riduzione di pena più rilevante è stata disposta per Michele Terranova, difeso dagli avvocati Mimmo La Blasca e Amalia Imbrociano, la cui condanna è stata ridotta di 4 anni. Il processo di primo grado riconobbe risarcimenti danno per le parti civili: Sicindustria e Associazione antiracket e antiusura Trapani, Comuni di Castelvetrano e Salemi, Associazione antiracket “La Verita’ Vive” di Marsala, Antiracket Alcamese e Centro studi “Pio La Torre”.
*fonte Ansa