“Sa qual è la verità? Che il nostro dolore non conta niente. Dicono che uno che ha ammazzato duecento persone e che ha sciolto un bimbo nell’acido si è ravveduto e che potrebbe andare tranquillamente ai domiciliari, quindi quanto vuole che conti il parere dei familiari delle vittime?”. Tina Montinaro è molto arrabbiata. Ma anche delusa. E amareggiata. La notizia che oggi la Corte di Cassazione deciderà se il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, l’uomo che ha premuto il telecomando della strage di Capaci, possa andare agli arresti domiciliari dopo 23 anni di carcere, la amareggia. I legali hanno ottenuto anche il parere favorevole della Procura nazionale antimafia secondo cui “sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento di Brusca”.
Tina Montinaro, funzionario direttivo dell’amministrazione regionale dal 1997, l’anno scorso, a ventisei anni dalla strage di Capaci in cui perse la vita il marito Antonio, capo scorta di Giovanni Falcone, è entrata in polizia occupandosi per conto del ministero dell’Interno, di “mantenere costante la memoria dei caduti di Polizia nei settori più attivi della società civile, tra cui scuola, sport, giovani ed associazionismo”.
“Davanti a una decisione del genere io non so cosa dire – aggiunge Tina Montinaro – Io spero solo che chi prende questa decisione sia lì a passarsi una manco sulla coscienza, ricordandosi di tutti i morti di Palermo. Poi, mi possono fare anche attaccare ma sicuramente non interesserà niente a nessuno, se loro hanno deciso determinate cose non badano a quello che io o altri familiari abbiamo da dire. Noi siamo quelli delle commemorazioni, punto a basta”.
“Dicono che Giovanni Brusca li ha aiutati, non so ancora perché hanno fatto la strage perché abbiamo dovuto aspettare che certi documenti vengano desecretati e avevamo tutti questi pentiti. Insomma, sono sincera, ci sentiamo presi in giro. Parto sempre dal principio, che forse abbiamo perso tempo nei processi a fare determinate cose, a crederci, perché arrivati a questo punto, come dicono a Palermo ‘Agneddu e sucu e finiu u vattiu'”, un modo di dire palermitano per intendere che ormai la decisione è presa e non c’è più niente da fare.
Sul presunto ravvedimento di Brusca, di cui parla anche la Superprocura antimafia, Tina Montinaro dice: “Beh, finora Brusca non ha avuto la possibilità di uccidere qualcun altro perché in galera…”. E aggiunge: “Non le capisco davvero certe cose, fanno solo rabbia e fanno male. E non parlo a nome mio, non è che questo individuo ha ucciso solo mio marito. Ha fatto le cose più atroci, basta pensare al piccolo Giuseppe Di Matteo. Mi chiedo allora, ma loro ci pensano al mio dolore? E al dolore di tutti gli altri? Io sono una donna delle istituzioni, mio marito era un uomo dello Stato e io continuerò a crederci. Voglio cambiare le cose. Ecco perché sto sempre insieme ai bambini, ma ci sono tante cose che a me non piacciono…”. E mentre lo dice, Tina Montinaro si trova proprio in una scuola di periferia di Palermo per parlare con i bambini.
* fonte Adnkronos