Borsellino quater: Condannati gli altri falsi pentiti
di Salvo Palazzolo*
Il processo
Il processo Quater si fonda sui racconti di Gaspare Spatuzza, il vero pentito della strage che nel 2008 ha svelato la grande impostura di Scarantino. L’ex killer del clan di Brancaccio ha segnato una strada per le indagini sui misteri che ancora avvolgono quei giorni. Ha scritto la corte d’assise nelle motivazioni della sentenza: “Soggetti inseriti negli apparati dello Stato” indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che uccise Borsellino e i poliziotti. “È uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.
Ora, a Caltanissetta, c’è un processo a tre poliziotti del gruppo Falcone-Borsellino che avrebbero avuto un ruolo nella costruzione del falso pentito Scarantino, accanto all’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002.
Indagini che puntano al cuore dello Stato. Ha scritto ancora la corte d’assise di Caltanissetta: “È lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi”. Gli uomini del gruppo Falcone-Borsellino dovevano scoprire i responsabili delle bombe, invece costruirono a tavolino alcuni falsi pentiti. La corte non crede per ansia di giustizia e di risultato. No.
Vennero suggerite a Scarantino “un insieme di circostanze del tutto corrispondenti al vero”. Il furto della 126 rubata mediante la rottura del bloccasterzo è la verità che ha poi raccontato nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza. Come facevano i suggeritori a sapere la storia della 126? “È del tutto logico ritenere — scrivono ora i giudici — che tali circostanze siano state suggerite a Scarantino da altri soggetti, i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte”.
I misteri che restano
Chi ispirò i suggeritori? La corte ricorda che il 13 agosto 1992, il centro Sisde (il servizio segreto civile) di Palermo, comunicò alla sede centrale che “la locale polizia aveva acquisito significativi elementi sull’autobomba”. E ancora la corte rileva “l’iniziativa decisamente irrituale” dell’allora procuratore di Caltanissetta Tinebra di chiedere la collaborazione nelle indagini di Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, poi arrestato per mafia dai pm di Palermo nel dicembre del 1992.
“Una richiesta di collaborazione decisamente irrituale — ribadisce la sentenza — perché Contrada non rivestiva la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria”. Tanta “rapidità nel chiedere la collaborazione di Contrada già il giorno immediatamente successivo alla strage — scrivono ancora i giudici — a cui fece seguito la mancata audizione del dottore Borsellino nel periodo dei 57 giorni” che gli rimasero da vivere.
Col Sisde collaborava anche il capo della Mobile La Barbera, pure questo ricorda la sentenza. Ed è stato scritto, per la prima volta: c’è un “collegamento tra il depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino”. Perché per i giudici La Barbera è anche “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.