Un assassinio, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, che lo vede due volte vittima, cioé del padre, che scelse di diventare mafioso, e della barbarie della mafia corleonese.
Aveva solo 13 anni Giuseppe Di Matteo, quando venne assassinato barbaramente dalla mafia, era l’11 gennaio del 1996. Venti quattro anni fa, a San Giuseppe Jato, venne ucciso dalla mafia un bambino, che guardava al futuro e ad una vita normale, anche se figlio di un affiliato alla mafia, Santino Di Matteo, poi collaboratore di Giustizia. Proprio per la scelta del padre fu ucciso da sicari della mafia corleonese, che abbandonata la regola del passato, cioé quella di non toccare i bambini, furono spietati. Giuseppe, una vittima due volte, perché figlio di mafioso e perché incontrò la brutalità di altri mafiosi. E’ importante ricordare tutta la storia, per far memoria e per sottolineare che la mafia uccide il presente, quindi non permette di creare un futuro.
La Storia tragica di Giuseppe Di Matteo e la collaborazione del padre
Il piccolo Giuseppe Di Matteo era un bambino normale come tale viveva di passioni, la sua era per i cavalli. Giuseppe però era figlio di un mafioso, Santino Di Matteo detto “Mezzanasca”. Questo fu arrestato il 4 giugno 1993, perché reo di numerosi omicidi di stampo mafioso, e poco dopo decise di collaborare, quindi un affronto per l’ambiente mafioso, oltretutto andò a svelare segreti e nomi che riguardavano le stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio, che costarono la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una collaborazione cruciale, perché fino a quel momento nessun collaboratore di giustizia aveva osato parlare delle stragi del ’92. Fu questa collaborazione che scatenò l’ira e la vendetta di cosa nostra, così diede mandato a Giovanni Brusca per rapire il figlio di Santino Di Matteo.
Il 23 novembre 1993, i corleonesi prelevarono il bambino mentre usciva dal maneggio, dove abitualmente andava a cavalcare.
La scena surreale e tragica del rapimento
Una scena surreale e tragica, quasi da film: Quattro finti poliziotti, mafiosi travestiti da agenti, sorridenti, quindi con il massimo dell’inganno e del cinismo, lo prelevarono con la promessa di portarlo dal padre, allora sotto protezione in località segreta. Questo scenario è descritto da uno dei sequestratori, divenuto poi collaboratore di giustizia, cioè Gaspare Spatuzza, che in particolare dichiarò: «Agli occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. Lui era felice, diceva “Papà mio, amore mio”».
Un rapimento anche movimentato, perché durante la prigionia il bambino veniva trasferito in varie località delle provincie palermitane, agrigentine e trapanesi. Giovanni Brusca chiese anche aiuto a Matteo Messina Denaro (Boss di Castelvetrano e attuale capo della mafia siciliana) per nascondere il bambino e trovò l’aiuto del boss Lentini. Il bambino fu trasferito da Gangi a Castellammare del Golfo.
Dopo tutto questo, l’epilogo tragico di una prigionia durata 779 giorni, l’11 gennaio del 1996 alcuni gregari mafiosi eseguirono l’ordine di morte nei confronti del piccolo Giuseppe Di Matteo.
La sentenza e le parole della madre
Un assassinio per il quale il tribunale di Palermo ha stabilito un risarcimento di 2,2 milioni di euro. Soldi che non allevieranno la pena di una madre come la signora Castellese, della quale volgiamo ricordare un passaggio di una sua dichiarazione, si riferiva al marito: «Non lo perdono perché è colpa sua se io ho perso il mio bambino. Ha sbagliato a pentirsi? Ha sbagliato a essere mafioso, ha sbagliato prima». Parole che ci ricollegano a ciò che dicevamo all’inizio, cioé vittima due volte.
Una vicenda, quindi, che vede tanti colpevoli e una sola vittima innocente il piccolo Giuseppe, il cui assassinio ha rappresentato un’ombra oscura sul futuro della Sicilia, ma non solo, però contemporaneamente, vedendo la reazione di molti giovani e giovanissimi all’ascolto della sua storia, si potrebbe ribaltare il tutto e quindi questa vicenda diventare uno sguardo verso un futuro senza più queste barbarie, un futuro dove i Giuseppe Di Matteo possano cavalcare la vita in groppa al cavallo della libertà e della giustizia.