Un’ennesima “stesa” di camorra, quella che stanotte ha coinvolto anche l’auto di Fabio Giuliani, referente regionale di Libera in Campania. L’ennesima manifestazione violenta – spesso proiettili sparati a bordo di motorini – per segnalare la volontà di un gruppo criminale di estendere il controllo o mantenere il predominio nei quartieri. La camorra non conosce sosta, neanche con la pandemia globale. “Ieri sera tardi una volante delle forze dell’ordine è venuta per identificarmi e avvisarmi che la mia auto era stata colpita da proiettili” racconta Fabio Giuliani. La notte precedente, in via Eduardo Scarpetta, nel rione “Lotto 10”, un’altra sparatoria aveva spaccato i vetri di un’abitazione fino a forare le porte dell’abitato.
I clan non restano a casa neppure con una quarantena imposta in tutto il Paese. La necessità di manifestare il potere e il controllo sul territorio, il clima di paura e da coprifuoco da imporre nei quartieri di periferia pare non conoscere emergenza. Ed è così che per due notti consecutive a Ponticelli, nei rioni di uno dei quartieri popolari dell’area Est di Napoli, dove come nel resto del Paese, non si esce se non per andare a lavoro o fare la spesa, gli abitanti hanno sentito esplodere colpi di arma da fuoco contro abitazioni e autovetture.
“Sono andato con le forze dell’ordine sul luogo dove avevo parcheggiato l’auto settimane fa e ho trovato il parabrezza e il vetro posteriore destro forati da un colpo di proiettile che ha attraversato l’auto – continua Giuliani –. A terra altre tre/quattro ogive che erano state fatte esplodere”.
Erano ormai quasi tre anni che non accadeva: sembrava regnare la quiete nel quartiere che ha pianto l’ultima vittima innocente il 7 giugno del 2016, Ciro Colonna ragazzo di 19 anni che abitava “lotto O”.
“Voglio ringraziare tutti per la solidarietà. In queste ore ho ricevuto telefonate dalla Procura, dalla Questura, dalle forze dell’ordine, dalle realtà associative aderenti a Libera, da Legambiente. Studenti, sindacati e tantissimi soci di Libera nei territori mi hanno subito fatto sentire la loro vicinanza. Appena ha saputo della notizia, mi ha chiamato don Luigi Ciotti e mi ha fatto anche tanto piacere la vicinanza del quartiere: commercianti di Ponticelli e cittadini comuni mi hanno telefonato o mandato messaggi di solidarietà. Voglio tranquillizzare tutte e tutti: sto bene e sono sereno” ha ancora affermato Fabio. “Il problema non è la macchina, le macchine si riparano. Il problema sono i proiettili che continuano ad essere sparati nel nostro quartiere e che sono un segno preoccupante di una violenza che non finisce mai. Se non fosse stata colpita la mia auto, ma l’auto di un cittadino comune – non del referente di Libera – non avrebbe fatto altrettanto rumore. E questo deve essere un campanello d’allarme perché bisogna tenere l’attenzione alta a prescindere dall’emergenza sanitaria, perché non si possono spegnere i riflettori sulle camorre proprio in questo momento”.
Nonostante l’epidemia in corso i clan continuano a manifestare tutta la loro prepotenza, incuranti dei divieti, aggiungendo paura su paura per le persone già chiuse in casa. Eppure le piazze di spaccio sono ferme da settimane e per le camorre – quelle partenopee in special luogo – che si concentrano massicciamente sul controllo di questi luoghi, la situazione di fermo rappresenta un duro colpo alla loro economia. “Proprio per questo bisogna vigilare ancora di più. L’aumento della disperazione sociale è un rischio enorme. Alla fine di questa pandemia, i quartieri di Napoli si scopriranno ancora più impoveriti: senza strumenti di rilancio e opportunità occupazionali concrete rischiano di diventare una polveriera” spiega Giuliani. E lì la criminalità organizzata potrà pescare e adescare, allargando un circuito di illegalità diffuso che potrebbe rivelarsi altamente pericoloso, non appena saremo tornati alla normalità.
Urgenze sociali e codici culturali che si impongono nei quartieri popolari sono materia su cui lavorare con impegno. “Bisogna disarmare la città a partire anche dalle parole violente utilizzate anche nel linguaggio pubblico. Fa male ai giovani sentire costantemente un linguaggio che agita un clima di guerra. Le giovani generazioni già sono chiuse in casa: riempirle di parole da scenari di guerra certamente non li aiuta a disarmare il clima violento che si respira in tanti territori. Dovremmo prendere d’esempio i medici e gli infermieri che ogni giorno sono negli ospedali per curare le persone. Loro salvano le vite, non le uccidono; per frenare questa epidemia non usano le armi, i lanciafiamme, ma usano scienza e conoscenza e tutto il loro coraggio” conclude Giuliani.
Fonte lavialibera.libera.it