È la testimonianza di chi è stato per circa due settimana nella morsa del Covid-19, in Russia. Oggi il Prof. Giuseppe Lo Porto, castellammarese da anni all’Ufficio Istruzione presso il Consolato Generale d’Italia a Mosca, si racconta ad Alqamah e condivide con noi quei terribili momenti. “Oggi sto bene e sono guarito, ma continuo il mio lavoro qui: c’è molto da ricostruire”
MOSCA. “Sto meglio, possiamo dire che il peggio è passato. Oggi sono tornato a casa e sto ricominciando a lavorare, ma sono stati giorni difficili, di isolamento”. A raccontarlo ad Alqamah.it è il castellammarese Giuseppe Lo Porto, da alcuni anni Dirigente dell’Ufficio Istruzione presso il Consolato Generale d’Italia a Mosca per conto del Ministero degli Esteri ed ex dirigente dell’Istituto Mattarella-Dolci di Castellammare del Golfo. Per quasi due settimane è stato nella morsa del Covid-19. Adesso è tornato ad occuparsi di diplomazia culturale, a stretto contatto con l’Unità di Crisi della Farnesina.
Per alcuni giorni è stato ricoverato in isolamento in una struttura medica convenzionata con l’Ambasciata Italiana. “Devo ringraziare i medici e gli infermieri, sono stati molto bravi e professionali.” – sottolinea con una voce un po’ sofferente – “È stata dura, mi porto ancora alcune conseguenze, ma fortunatamente, dopo la negativizzazione di tre tamponi, posso dire che è soltanto un brutto ricordo”.
“Il virus toglie il fiato”
La polmonite causata dal Covid-19 gli ha intaccato entrambi i polmoni, ma fortunatamente non è stata necessaria la terapia intensiva. “È stata molto pesante. – ha raccontato Lo Porto ad Alqamah.it – Il virus mi ha creato notevoli fastidi che ancora adesso mi porto dietro.” Infatti, spesso, le conseguenze di questa terribile polmonite sono evidenti anche dopo la guarigione. “Sono stato ricoverato il 30 di aprile e dalla prima tac è subito venuta fuori questa terribile polmonite. Nonostante tutti i sintomi tipici del Covid, il primo tampone è stato negativo, poi con il secondo ho avuto la certezza. Dopo tre giorni di cure molto dure, secondo quelle che sono le direttive internazionali, sono riuscito a venir fuori dalla morsa di questo tremendo virus. Oggi sono già a casa e attendo l’esito del quarto e ultimo tampone, ma dopo i tre precedenti, tutti negativi, sono ormai certo della mia totale guarigione.”
“Il virus mi ha tolto il fiato e l’olfatto. Non poter sentire più gli odori e anche i sapori è un’esperienza davvero terribile.” Per il Dott. Giuseppe Lo Porto è stata la prima esperienza in ospedale. “Fino ad oggi non ero mai stato in ospedale, quindi per me è stato davvero tutto nuovo. Ma è stato pesante anche per il fatto di essere da solo all’estero, senza i miei cari e lontano dalla mia terra.”
Ansia e incertezza
Ma oltre alle cure pesanti, c’è un altro aspetto che il Prof. Giuseppe Lo Porto non dimenticherà mai: la mancanza del contatto umano. “L’aspetto umano è quella cosa che mi è mancata davvero tanto. Una cosa per me drammatica è stata non poter vedere le espressioni di medici e infermieri che ogni mezz’ora venivano a farmi le stesse domande, come se da un momento all’altro mi dovesse venire qualcos’altro. Uno stato di ansia, di incertezza che percepisci anche dalla loro voce. Sono tutti dettagli su cui ho riflettuto dopo, a mente serena”. Oggi fortunatamente, passato l’incubo del virus, il Prof. Lo Porto sta bene. Ha deciso di accettare l’intervista sperando che la sua testimonianza possa essere d’aiuto per altri nelle sue stesse condizioni, ma soprattutto per far capire anche a chi ancora oggi nutre dubbi sulle reali conseguenze del Covid-19. “Se non ci si finisce dentro capisco che può essere complicato avere reale contezza della gravità di questo maledetto virus. Ma non è per niente uno scherzo”.
Il contagio in aeroporto
“Ho la certezza di aver contratto il virus in aeroporto. – racconta il Prof. Lo Porto ad Alqamah.it – Noi come Ambasciata in questo periodo ci stiamo occupando anche dell’organizzazione dei voli di rientro degli italiani bloccati in Russia. Lo scorso 9 aprile mi trovavo, insieme al gruppo di lavoro dell’Unità di Crisi, tra i componenti della delegazione che ha accompagnato gli studenti in aeroporto. Sono rimasto lì circa 6 ore perché stavamo organizzando materialmente il primo volo (adesso stiamo organizzando anche il terzo e il quarto) e, nonostante tutte le misure di protezione, sono certo di essermi contagiato lì: sono andato al bar a prendere il caffè e ho sicuramente toccato qualcosa. Non ci sono altre spiegazioni, perché eravamo già in pieno lockdown, quindi, non uscivo da casa per nessun altro motivo”.
Così, dopo i primi sintomi, soprattutto tosse e febbre alta che hanno fatto accendere il campanello d’allarme, la diagnosi di positività al Covid-19.
Italia “palestra” per i medici russi
All’inizio di questa emergenza sanitaria, la Russia, oltre ad aver inviato all’Italia tantissimi dispositivi di protezione individuale, ha mandato anche parecchi medici militari come supporto operativo contro il Covid. Quei medici in Italia hanno avuto la possibilità di toccare con mano il virus prima di tutti, maturando anche una certa esperienza che oggi stanno usando nel loro Paese in piena emergenza sanitaria. Infatti, secondo gli ultimi dati, la Russia, oggi, è secondo Paese al mondo per numero di contagi con circa 300 mila positivi. Ma nello stesso tempo è il Paese con il più basso indice di mortalità. “Secondo me è stata la giusta strategia. – racconta Lo Porto ad Alqamah.it – Sicuramente questa loro esperienza in Italia, che è stato il primo Paese ad essere colpito dal virus, è servita molto. Infatti hanno capito fin da subito che dovevano isolare e tutelare al massimo le persone più anziane. Lo hanno capito immediatamente. Per esempio, qui a Mosca, fin dai primi giorni di marzo, cioè dall’inizio del cosiddetto lockdown, per gli ultra 68enni era totalmente vietato uscire di casa, soprattutto per chi aveva altre patologie: si rischiavano pesanti multe in caso violazioni. E devo dire, per quello che mi risulta, che il motivo di questo divieto, finalizzato alla tutela della salute, è stato recepito e rispettato. Poi c’è anche l’aspetto culturale della Russia che sicuramente ha fatto anche la sua parte: cioè loro tendono ad avere più distanza fisica rispetto alla cultura del sud Europa.”
Cosa resta
“Di questa difficile esperienza che non dimenticherò mai, porto dietro un’enorme insicurezza. Il non sapere cosa ti aspetta è qualcosa difficile da gestire. La più grande difficoltà è riuscire a capire cosa ti sta accadendo, già dopo mezz’ora. È un virus che inizia in una maniera davvero banale, ma poi non sai come evolve. Io – racconta ad Alqamah.it – ho acquisito la consapevolezza di avere il Covid-19 quando ho iniziato a perdere i contatti con l’esterno: l’olfatto che viene a mancare, la febbre anomala che sale e la tosse fastidiosa che cambiava velocemente. Mi è rimasta dentro una sensazione di insicurezza e disagio psicologico: una paura vera e propria, perché non sai dove stai andando. L’unica cosa certa era l’incertezza”.
Affetti, mare e una buona pizza
Il Prof. Giuseppe Lo Porto si trova a Mosca dallo scorso 6 gennaio e non è più riuscito a tornare a casa a causa dell’emergenza sanitaria. “Sono saltate tutte le mie feste giù, ma adesso ho molto lavoro da fare qui. È chiaro che mi sarebbe piaciuto fare la convalescenza in Italia con i miei cari, ma in questo momento difficile noi siamo un po’ come i capitani delle navi, non possiamo abbandonare la nave e l’equipaggio. – aggiunge – C’è da ricostruire tutto un aspetto culturale e didattico che servirà molto anche all’Italia. Quindi resto qui, ma spero di poter tornare in Italia e nella mia città già a luglio.”
Sulle prime cose che il Prof. Lo Porto farà a Castellammare del Golfo, chiaramente dopo aver riabbracciato i propri cari, non ha dubbi: “Sicuramente un bagno nel meraviglioso mare di Scopello – sottolinea sorridendo – e poi una bella pizza, e magari anche un piatto di buona pasta. Su questo non ho dubbi: mi mancano i sapori e gli odori della mia terra”.