I difensori degli imputati hanno sollevato incongruenze ed errori nel processo di primo grado e oggi chiedono la riapertura dell’istruttoria dibattimentale, mentre le parti civili e la Procura Generale hanno concluso chiedendo conferma della sentenza di primo grado alla luce da quanto emerso fino ad oggi. La sentenza potrebbe arrivare nelle prossime settimane
PALERMO. Si è tenuta mercoledì scorso presso il Tribunale di Palermo l’udienza d’appello per la vicenda relativa all’estorsione per l’acquisto di una villetta, finita all’asta nel 2011, in Contrada Fraginesi a Castellammare del Golfo.
Gli imputati, Giuseppe e Pietro (detto Fabio) Pace, difesi dagli avvocati Maurizio Lo Presti e Fabio Sammartano del foro di Trapani, sono già stati condannati in primo grado nel 2018 dal Tribunale di Trapani alla pena di 4 anni e 2 mesi per estorsione e turbativa d’asta ai danni dei castellammaresi Leonardo Candela e della madre Lucia D’Angelo, difesi dall’Avvocato Giuseppe Mannina. Tra le parti civili anche l’Associazione Antiracket e Antiusura Alcamese difesa dall’Avvocato Davide Bambina.
L’udienza di mercoledì ha visto la requisitoria del Procuratore Generale e le arringhe delle parti. La difesa dei due imputati ha sollevato critiche sul modo in cui è stato condotto il processo di primo grado, celebrato con le forme del rito abbreviato con il conseguente sconto di pena per gli imputati.
In particolare i difensori dei condannati hanno richiesto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale al fine di interrogare tre testimoni, parenti delle vittime: i fratelli Navarra Enza e Carlo e Maniaci Salvatore.
In fase di indagine due dei testimoni non avevano confermato parte del contenuto della querela del Candela e della madre pur non negando una loro preoccupazione per i malcapitati che avevano trovato la forza di denunciare le gravissime minacce subite per fermare l’acquisto della villetta all’asta giudiziaria. Minacce culminate, così come si legge nella sentenza di primo grado, nel ritrovamento di una busta di plastica contenente 8 cartucce per fucile da caccia nel giardino di casa di Candela/D’Angelo.
Troppe le incongruenze e gli errori sollevati dagli Avvocati Lo Presti e Sammartano che insieme ad altre circostanze sarebbero, secondo i legali della difesa, capaci di smontare l’impianto accusatorio. Le parti civili invece hanno, in sostanza, chiesto la conferma delle condanne di primo grado.
Durante le indagini del 2017, il PM titolare del fascicolo ritenne opportuno dotare la famiglia Candela di una scorta armata che sorvegliasse l’abitazione delle persone offese giorno e notte. In una delle intercettazioni, tra l’altro, si legge anche che i Pace, intenti a tenere sotto controllo la casa delle vittime, si chiedevano del motivo della presenza dei Carabinieri sotto casa di Candela e D’Angelo. Dopo l’arresto e il successivo processo di primo grado, i Pace si sono trovati prima in carcere e poi ai domiciliari, ma non hanno ancora ottenuto la piena libertà.
Per le vittime questo periodo corrisponde ad una ritrovata serenità in cui non devono più vivere con la scorta e cercano di tornare alla normalità dopo un periodo di paura e profonda solitudine in cui hanno potuto contare sul sostegno dell’Arma dei Carabinieri, dell’Associazione Antiracket e Antiusura Alcamese e di pochi amici che li hanno aiutati. Della sofferenza vissuta da Leonardo Candela, dell’isolamento e dell’omertà di alcuni, ne abbiamo parlato in un nostro articolo nel settembre del 2018.
La Corte di appello di Palermo si pronuncerà in prossimo 12 giugno. Si saprà dunque se dovranno essere sentiti i testimoni e se gli elementi e le incongruenze sollevate oggi dalla difesa saranno in grado di ribaltare il giudizio di primo grado. La sentenza potrebbe, quindi, essere vicina.