Il 32enne accoltellato giovedì scorso aveva affrontato chi sfruttava i pakistani nei campi. Fermati cinque connazionali
A Lahore in Pakistan, i suoi genitori, poveri e con altri 8 figli da sfamare, riponevano su di lui tutte le speranze. Era arrivato in Italia cinque anni fa, e in poco tempo Adnan Siddique, 32 anni, aveva trovato un lavoro come manutentore di macchine tessili a Caltanissetta, dove conduceva una vita normale. A spezzare il sogno di quest’uomo sono state le coltellate mortali che gli sono state inferte quattro giorni fa, mentre si trovava in casa. Per gli investigatori, che hanno fermato cinque pakistani – quattro accusati del delitto e un’altra di favoreggiamento – Adnan è stato massacrato come punizione per avere preso le difese di alcuni braccianti, suoi connazionali, sfruttati dai caporali nella campagne tra Agrigento e Caltanissetta.
Secondo i carabinieri, ai braccianti veniva tolta, dal gruppo di pakistani, la metà del guadagno che ricevevano lavorando nei campi. Dopo avere raccolto le lamentele dei suoi connazionali, secondo quanto emerso dalle indagini, Adnan aveva accompagnato uno di loro a sporgere denuncia. Da quel momento per lui sarebbe iniziato un vero e proprio calvario, fatto di aggressioni e minacce fino a quando i suoi aguzzini sono entrati nella sua abitazione, in via San Cataldo. A udire quanto stava accadendo in quella casa sono stati i vicini che hanno sentito le grida e poi la richiesta di aiuto dell’uomo, morto poco dopo per le cinque coltellate ricevute con una lama di circa 30 centimetri. Sono stati gli stessi vicini ad aiutare i carabinieri a rintracciare alcuni dei presunti assassini che si erano rifugiati in una casa poco distante. Due di loro avevano ancora i vestiti sporchi di sangue. Altri due, i cui volti sono stati ripresi dalle immagini delle telecamere, sono stati fermati il giorno dopo a Canicattì (provincia di Agrigento).
Il gip Gigi Omar Modica ha interrogato ieri i quattro fermati per l’omicidio: Muhammad Shoaib, 27 anni, Alì Shujaat, 32 anni, Muhammed Bilal, 21 anni, e Imrad Muhammad Cheema, 40 anni, e il connazionale Muhammad Mehdi, 48 anni, arrestato per favoreggiamento. Di Adnan i proprietari di un bar parlano come di una persona educata, gentile, ma anche preoccupata per le minacce che subiva. “Una volta è finito pure in ospedale – racconta la famiglia Di Giugno – lo avevano picchiato”. Jaral Shehryar, pakistano di 32 anni, titolare di una bancarella di frutta e verdura, conferma. “Era bravissimo, onesto. Quelli accusati di averlo ucciso, no. Si ubriacavano spesso. Qualche volta andavano a lavorare nelle campagne ma poi passavano il tempo ad ubriacarsi e fare baldoria”. Adnan si era confidato anche con il cugino, Ahmed Raheel, che vive in Pakistan. “Aveva difeso una persona e lo minacciavano per questo motivo – riferisce – Voleva tornare in Pakistan per una breve vacanza, non lo rivedremo mai più. Adesso non sappiamo neanche come fare tornare la salma in Pakistan. Noi siamo gente povera, chiediamo solo giustizia”.
“L’uccisione, la sera del 3 giugno a Caltanissetta del pakistano Adnan Siddique è un fatto gravissimo, soprattutto se, come sembra, dietro l’omicidio ci sono i caporali cui lui si sarebbe opposto prendendo le difese di alcuni lavoratori. Si confermerebbe che nessuna provincia è immune dal caporalato. A questo punto la piena applicazione della legge 199/2016 diventa urgente, per garantire un corretto incrocio tra domanda e offerta di lavoro agricolo e avere finalmente strumenti fondamentali al reale contrasto al lavoro nero, allo sfruttamento e ai drammatici fenomeni di caporalato”. Lo scrivono in una nota congiunta i segretari della Flai Cgil Sicilia e Caltanissetta, Tonino Russo e Giuseppe Randazzo.
“I lavoratori agricoli pakistani – scrivono – rappresentano il 10% del totale dei lavoratori stranieri, comunitari e non, nella provincia e nella sola città di Caltanissetta il 20% dei lavoratori agricoli, la comunità straniera più numerosa.
Confidiamo nel lavoro degli organi inquirenti e delle forze dell’ordine e siamo fiduciosi che si possa arrivare alla verità – aggiungono- contribuendo a sradicare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro agricolo diffuso nella provincia”.
Fonte repubblica.it