Cosa nostra e cosa pubblica, un rapporto perverso che però ha caratterizzato gli anni in cui la mafia passava dalle campagne alla “città”, infiltrandosi e facendo affari con l’amministrazione pubblica. Mafia e appalti pubblici, ma non solo, tutto questo aveva ben chiaro il giudice Gaetano Costa, che agì mettendo in moto un’azione incessante nel combattere questo e il traffico di stupefacenti, motivi cardine della sua condanna a morte dichiarata ed eseguita dalla mafia. Era il 6 agosto 1980 quando Gaetano Costa venne ucciso in via Cavour, a Palermo, davanti una edicola. Un tempismo particolare quella della mafia: ucciderlo l’ultimo giorno nel quale Costa era senza protezione, il giorno dopo era previsto l’attivazione del servizio di scorta.
Ritornando indietro, all’arrivo di Costa a Palermo: il magistrato si trovò davanti un panorama davvero particolare, ma non era solo, infatti collaborò con il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, Rocco Chinnici. Un particolare colpisce: Costa e Chinnici discutevano delle inchieste in ascensore, per non destare sospetti. Gli argomenti principali erano inerenti a cosa nostra siciliana e i suoi stretti rapporti con quella americana, mafie che avevano un grande interesse comune, il traffico di droga. Indagini sulla droga che avevano già fatto vittime e tra queste il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, che fu ucciso il 21 luglio 1979, ma la sua azione fu portata avanti da Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri della Compagnia di Monreale, poi ucciso la sera del 4 maggio del 1980. In riferimento a quest’ultimo caso: a poche ore dalla uccisione di Basile i militari dell’Arma riuscirono ad arrestare 33 persone. Il rapporto di denuncia che fu presentato dai carabinieri fu firmato solo da Gaetano Costa, infatti nessun altro, in procura, si assunse quella responsabilità. Un atto che di sicuro non passò inosservato e così venne emessa la condanna a morte da parte della mafia.
Cosa è cambiato da quell’omicidio? Che ci sono stati altri che hanno seguito quei filoni cari a Costa ed hanno messo in evidenza ancora di più il rapporto cruciale e sconcertate tra mafie e cosa pubblica, e l’importanza del traffico di stupefacenti nell’economia delle mafie. L’esempio di Costa però ha generato nuove generazioni di magistrati e appartenenti alle Forze dell’Ordine che agiscono in maniera ancora più incisiva nella lotta alla criminalità organizzata, più incisiva perché Costa ha dato un contributo enorme: conoscere meglio i fenomeni legati alla illegalità che fa affari con la cosa pubblica e con le droghe. Un’eredità della quale hanno fatto tesoro tanti uomini e donne servitori dello Stato, che si è tradotta nell’attività costante dedicata a combattere le mafie.