La richiesta di scambio è fondata

I 18 pescatori siciliani sotto sequestro in Libia: la milizia di Haftar chiede in cambio del rilascio il ritorno in patria degli scafisti in carcere perchè fecero morire in mare 49 migranti

La notizia che il sindaco di Mazara, Salvatore Quinci, volle definire infondata, più forse per la preoccupazione di non mettere in pericolo una trattativa diplomatica, semmai davvero questa sia mai riuscita a decollare, è invece vera. La parte di governo libico che fa capo al generale Haftar sta usando la sorte dei 18 marittimi siciliani trattenuti da due settimane dalle parti di Bengasi, dopo che l’1 settembre in mare, in acque internazionali furono fermati da motovedette libiche con i loro due motopesca, propone uno scambio di “prigionieri”: i pescatori liberi in cambio della libertà che l’Italia dovrebbe a loro dire concedere a quattro libici ingiustamente condannati in Italia. Scafisti e responsabili di un tragico naufragio di migranti risalente al 2015, per le autorità italiane, giovani calciatori che venivano in Europa a cercare il loro futuro sui campi di calcio per i libici. La notizia per la prima volta fu data dal Fatto Quotidiano con un articolo a firma di Marco Bova. Poi i tentativi di smentita ma nelle ultime ore la richiesta di scambio avanzata dai fedeli ad Haftar ha raccolto diverse conferme. Nei giorni scorsi poi su un tabloid libico è spuntata la notizia, con tanto di foto, di familiari dei libici in carcere in Italia protagonisti di una protesta. Hanno chiesto la libertà per i loro congiunti e hanno chiesto al loro governo di non rilasciare i pescatori tenuti sotto sequestro se ciò non avvenisse. Si sono presentati al porto di Bengasi con fotografie e cartelloni: “Liberate gli atleti libici: sono calciatori, non trafficanti”.Questo uno stralcio del testo dell’articolo comparso su una testata on line libica:

Diverse famiglie di atleti libici detenuti in Italia hanno tenuto una protesta giovedì mattina, davanti per la base navale di Bengasi, chiedendo di non rilasciare i pescatori italiani e le barche detenute dalle forze navali al largo di Bengasi ”fino agli atleti libici vengono rilasciati dall’Italia”. Le famiglie degli atleti hanno annunciato che i loro figli hanno tentato di emigrare dalla Libia dopo che le milizie hanno rovinato il Paese sotto la guida del Governo di Accordo Nazionale sostenuto dal Governo italiano (leggasi Al Serraj ndr), sottolineando che continueranno a fare pressioni sull’Esercito Nazionale Libico affinché questi pescatori e le loro barche non vengono rilasciate fino al rilascio dei giovani libici detenuti in Italia.

I 4 giovani libici furono arrestati in Sicilia nel 2015: vennero condannati dalla Corte d’Assise di Catania e poi dalla Corte d’assise di Appello, con l’accusa di avere fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta “Strage di Ferragosto” in cui morirono 49 migranti. Si chiamano Joma Tarek Laamami, di 24 anni, Abdelkarim Al Hamad di 23 anni, Mohannad Jarkess, di 25 anni, Abd Arahman Abd Al Monsiff di 23 anni. Secondo i migranti con cui viaggiavano, la notte della “Strage” con “calci, bastonate e cinghiate” i quattro avrebbero bloccato molti nella stiva dell’imbarcazione. La loro versione era che si erano imbarcati anche loro per fuggire dalla Libia, e che i veri trafficanti avevano ridotto loro il prezzo del passaggio purché si occupassero di pilotare le barche.
Una proposta di scambio che per il Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, è “ripugnante”: “Altro che giovani calciatori. Non furono condannati solo perché al comando dell’imbarcazione, ma anche per omicidio, avendo causato, nel 2015, la morte di quanti trasportavano, 49 migranti tenuti in stiva. Lasciati morire in maniera spietata. Sprangando il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati”.
“Se entro qualche giorno non si troverà una soluzione ci recheremo a Roma con le famiglie dei pescatori per far sentire ancor di più la nostra voce al Governo Italiano”. Si mostrano sconsolati chi chiede loro notizie sui pescherecci e sui pescatori bloccati in Libia, Leonardo Gancitano e Marco Marrone i due armatori di Mazara del Vallo dei pescherecci “Antartide” e Medinea” sequestrati lo scorso primo settembre da militari libici a circa 35 miglia a nord di Daryanah, a est di Bengasi. All’interno del Golfo della Sirte in quelle acque ritenute internazionali ma che la Libia si ostina a considerare proprie acque territoriali. Oltre agli equipaggi dei due motopesca in cerca del “prezioso” gambero rosso in stato di fermo vi sono anche Giacomo Giacalone e Bernardo Salvo: comandante e primo ufficiale dei motopesca “Anna Madre” e “Natalino” (registrato a Pozzallo ma con equipaggio mazarese) riusciti a sfuggire alla cattura quella stessa serata. Tutti e diciotto i marittimi si troverebbero “ospiti” in una villa mentre i due pescherecci ormeggiati nel porto della capitale della Cirenaica. Tra di loro anche alcuni tunisini imbarcati nei pescherecci. Contro armatori e pescatori sotto sequestro fino ad oggi non risulta formalizzata alcuna accusa da parte delle autorità libiche, trattenuti senza una contestazione di natura giudiziaria. E così che i marinai siciliani sarebbero finiti al centro di una piccola crisi internazionale: la marina legata all’esercito del generale Khalifa Haftar che controlla la zona di Bengasi ha avuto ordine dal comando generale, cioè dal generale Haftar, di non rilasciare i pescatori italiani fino a quando 4 “calciatori” libici imprigionati in Italia non saranno liberati. Prende piede quella che viene oggi difficile definire una ipotesi: e cioè che il sequestro dei pescherecci e dei loro equipaggi sarebbe una ripicca contro la Farnesina e contro la decisione del ministro degli Esteri Di Maio di incontrare il premier dell’altra parte della Libia, Al Serraj, dando così da parte dell’Italia alla sua coalizione di governo, una patente di credibilità diplomatica internazionale.
“Sono giorni difficili e siamo preoccupati”, ha detto ai microfoni di una emittente tv mazarese, Tele8, Rosaria Giacalone, la moglie di uno dei 18 componenti degli equipaggi bloccati nel porto di Bengasi. “Non sento mio marito da 11 giorni, e sappiamo del loro buono stato di salute solo tramite la diplomazia. Ma noi vogliamo parlare con loro e sentirci dire dalle loro voci che stanno bene. Ci appelliamo al Generale Haftar- ha continuato la signora Giacalone – affinché possa con un atto di clemenza rilasciarli. Confidiamo nella sua benevolenza, i nostri uomini erano lì per pescare e non stavano facendo nulla di male”. All’appello si unisce anche la figlia del motorista del motopesca Medinea che in arabo, la famiglia è di origini tunisine, ha mandato i saluti al padre e ai membri suoi connazionali degli equipaggi confidando in un atto di bonarietà delle autorità libiche per poter presto riabbracciare il padre. La madre del comandante del peschereccio Medinea, chiede infine “soltanto di poter riabbracciare il figlio anche lui da più di 12 giorni fermo al porto della cirenaica”.
“La tensione a Mazara del Vallo si sta facendo insopportabile – ha detto all’Ansa, il sindaco Salvatore Quinci commentando la vicenda dei pescherecci . Non ho alcuna conferma ufficiale di una richiesta di scambio dei marittimi con i 4 calciatori libici arrestati in Sicilia e condannati a 30 anni di carcere per traffico di migranti – ha ribadito Quinci – Spero che la trattativa per giungere al rilascio dei 18 fermati prosegua seguendo altri canali ufficiali. So per certo – ha aggiunto – che in questo moneto la Farnesina sta lavorando in tal senso”. “Ma lancio un appello affinché intanto si possa riuscire ad ottenere quantomeno di stabilire un contatto telefonico tra le famiglie e i marinai. – ha ancora chiesto Quinci – Questo servirebbe ad allentare un po’ lo sconforto che serpeggia molto forte e avrebbe un grande valore psicologico al di sopra di quanto possa essere immaginabile. La situazione attuale in Libia non ci aiuta. Non sono preoccupato per l’incolumità degli equipaggi ma ma temo che la vicenda se andrà per le lunghe sia più complessa da risolvere rispetto a casi simili accaduti in passato. Chiedo per questo di aumentare l’impegno profuso dal Governo”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.