Si sposta sotto Palazzo Chigi la protesta di armatori e familiari di motopesca e marittimi tenuti sotto sequestro a Bengasi dai libici
Una lettera brevissima nel contenuto ma efficace a dimostrare il malessere, la preoccupazione, la paura. E’ stata inviata alle più alte cariche dello Stato, al presidente della Repubblica Mattarella, al primo ministro Conte, al Governatore della Sicilia Musumeci. A firmarla gli armatori dei motopesca “Antartide” e “Medinea” e con loro i familiari dei componenti degli equipaggi. Ancora una richiesta di aiuto perché possano tornare liberi, perché venga permesso ai pescherecci di riprendere il mare e perché possano lasciare il carcere i 18 marittimi, arrestati senza una ragione. Nella lettera l’annuncio che dal 21 settembre seguiranno a Roma l’evolversi della situazione fino alla soluzione cioè il ripristino delle libertà di mezzi e uomini. Fino ad oggi loro punto di raccolta e di concentramento è stato il porto della loro città, Mazara del Vallo. Erano lì mercoledì scorso quando d’improvviso sul cellulare di Rosetta Ingargiola, mamma del comandante del “Medinea”, Pietro Marrone, è arrivata la telefonata del figlio. Una conversazione durata pochissimo, servita a sincerare i familiari che tutti i marittimi stanno bene, ma anche a far toccare con mano i momenti difficili che tutti i marittimi stanno attraversando. “Siamo in carcere” ha detto Pietro Marrone, “ci trattano bene ma siamo in carcere, aiutateci, fateci liberare, andate a Roma, protestate muovetevi, aiutateci”. E i familiari hanno deciso di raccogliere l’appello, andranno a Roma, si piazzeranno sotto Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sede del Governo e del primo ministro del nostro Paese. Non se ne andranno, hanno fatto sapere, se non un minuto dopo aver saputo che i loro cari sono sui motopesca pronti a tornare a Mazara. Una pagina, l’ennesima, triste per la marineria mazarese. “Non è una pagina triste, non può restare l’ulteriore pagina oscura – dice uno degli armatori – della marineria mazarese. E’ un fatto che deve colpire tutte le marinerie italiane, è un colpo contro la libertà di poter andare in mare per lavorare. Purtroppo ad oggi quanto accade è ritenuto come un qualcosa che riguarda solo alcuni e non tanti”. La diplomazia italiana assicura che si sta lavorando, Conte e il ministro degli Esteri Di Maio hanno assicurato che il Governo si sta adoperando, “ma noi abbiamo timore per i nostri cari” dice la moglie di uno dei 18 marittimi, “siamo consapevoli che il lavoro della diplomazia non è visibile se non quando si conclude, ma certe volte ci chiediamo se una trattativa esista per davvero, e ogni giorno che trascorre ce lo chiediamo ancora di più”. Secondo quanto si è appreso i 18 marittimi dopo essere stati condotti dentro una villa a Bengasi, da qualche giorno sono stati trasferiti in una caserma, da veri e propri reclusi. Il Fatto Quotidiano, il primo a scrivere di una trattativa segreta che punta ad ottenere dall’Italia la libertà per quattro scafisti libici, condannati per un tragico naufragio che causò la morte di 49 migranti, oggi ha scritto anche che ai marittimi è arrivata la contestazione giudiziaria da parte dei libici e cioè quella di trasportare a bordo dei motopesca un certo quantitativo di droga. “Bugie e solo bugie – replicano da Mazara – l’ulteriore tentativo di sporcare la coscienza di questi 18 lavoratori del mare”. Il sequestro risale all’1 settembre scorso, fu condotto ad opera dei militari libici fedeli al generale Haftar. Un sequestro che avvenne a poche ore dall’incontro del nostro ministro Di Maio col premier riconosciuto della Libia, al Sarraj. Il sequestro sarebbe quindi la vendetta di Haftar e degli oppositori ad al Sarraj, contro il ruolo che l’Italia ha assunto a proposito della crisi di potere che sta spaccando la Libia. Se dapprima la Farnesina a questa ricostruzione si opponeva, adesso dal ministero degli Esteri arrivano le possibili conferme. Anche sulla trattativa segreta per lo scambio con i libici oggi in carcere in Italia. “Non è più l’ora delle ipotesi e delle supposizioni – dicono dal porto di Mazara – è ora che il Governo italiano faccia sentire la sua voce e lo faccia chiedendo sostegno anche all’Unione europea che sino a questo momento nel Mediterraneo ha saputo imporre scelte insensate colipoendo in primis la marineria di Mazara e lasciando liberi i nord africani nel continuare a depredare il mare e a usare i nostri equipaggi come merce di scambio, per alzare i costi, per far arrivare in Libia, ma anche alla Tunisia, risorse che lì vengono spese per mettere eeserciti in acqua pronti a dar battaglia contro le nostre barche”. Marinerie militari, che usano motovedette nel tempo ragalate dall’Italia, che continuano a tenere gli occhi chiusi sulle barche affollate di migranti che partono dai loro porti andando incontro se non alla morte per annegamento a destini profondamente incerti.