Oggi venticinque settembre due anniversari: 41 anni dall’uccisione del giudice Cesare Terranova e di Lenin Mancuso poliziotto preposto alla scorta del giudice, ma anche l’anniversario dell’uccisione del magistrato Antonino Saetta trucidato, insieme al figlio Stefano, dalla mafia il 25 Settembre del 1988.
Il 25 Settembre del 1979 un Magistrato ed un Poliziotto, esempio di dedizione al lavoro e senso dello Stato, furono uccisi dalla mafia, erano il giudice Cesare Terranova e il poliziotto Lenin Mancuso.
La mafia eliminò, con la solita violenza, un magistrato dalle qualità non comuni e un poliziotto con un acume particolare, due servitori dello stato che per far giustizia non si curavano del pericolo ed erano legati dalla stessa idea: fermare le ingiustizie.
In particolare il giudice Terranova fu ucciso perché ricercava senza sosta, indagava, ma principalmente perché capiva che qualcosa stava cambiando all’interno della mafia: che non era solo armi e violenza, ma anche infiltrazione nel potere economico e politico. Tutto questo lo portò ad agire con strumenti investigativi adeguati e a proporre norme nuove, che tutt’ora costituiscono la base dell’attuale azione di contrasto al fenomeno mafioso. Questa iperattività e “modernità” fece sì che Terranova agisse in una quasi solitudine, mettendo in atto un’azione giudiziaria che pose la lente di ingrandimento sulla mafia corleonese, in particolare sui alcuni suoi esponenti emergenti, ma non bisogna negare che forse di più faceva paura agli ambienti malavitosi e ai cosiddetti colletti bianchi, il suo indagare sui rapporti tra mafia, professionisti e pubblica amministrazione. Indagini che anche dopo la sua morte portarono a mettere in luce un sistema di corruttela e sfruttamento delle posizioni di potere, che per natura sono contro la giustizia e la libertà, principi che accomunavano Terranova e Mancuso.
Per l’omicidio del giudice e del poliziotto Francesco Di Carlo, di Altofonte, esponente di spicco del mandamento di San Giuseppe Jato, uomo di fiducia di Bernardo Brusca, ha indicato Luciano Leggio, come mandante e come esecutori materiali: Giuseppe Giacomo Gambino, Vincenzo Puccio, Giuseppe Madonia e Leoluca Bagarella. Nel 1997 è stato riaperto il procedimento contro altre sette persone, esponenti della cupola palermitana, che diedero il permesso di eliminare il giudice, perché stava per diventare giudice istruttore, si tratta di Michele Greco, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci, Francesco Madonia, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.
Per Terranova e Mancuso abbiamo parlato di principi di giustizia e libertà, così oggi non possiamo non ricordare colui che li aveva nel proprio DNA, cioé il Giudice Antonino Saetta, ucciso dalla mafia il 25 settembre del 1988 lungo il viadotto Grottarossa della strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, nell’agguato perse la vita anche il figlio del magistrato, Stefano. Un omicidio deciso dai vertici di cosa nostra, protagonista Totò Riina, che di sicuro non poteva digerire che il magistrato, che aveva pesantemente condannato killer e mandanti di efferati omicidi, era candidato a presiedere la corte d’appello del primo maxiprocesso alle cosche mafiose del palermitano. Per l’omicidio Saetta sono stati condannati all’ergastolo con sentenza definitiva il boss Francesco Madonia, palermitano, e Pietro Ribisi, di Palma di Montechiaro.
In sintesi Saetta fu ucciso perché integerrimo nell’applicare la legge e quindi in contrasto con la cultura mafiosa, che disprezza la legge e la libertà.
Terranova, Mancuso e Saetta sono tre esempi da seguire, anche dalle nuove generazione, per non far ripetere una storia costellata da efferati delitti e da danni culturali economici e politici di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.