“D’Ali, una persona gentile”

A Palermo sentita la prefetta D’Ascenzo. Il generale dei carabinieri Barbano smentisce l’accusa, “sul senatore mai indizi” ma poche risposte  sulla sua conoscenza delle indagini antimafia 

È proseguito mercoledì pomeriggio a Palermo il processo di appello bis dove è imputato di mafia l’ex sottosegretario all’Interno, Tonino D’Ali. Dinanzi ai giudici sono sfilati alcuni testi citati dalla difesa. Tra questi la perfetta D’Ascenzo e il generale dei Carabinieri Giovanni Pietro Barbano. Barbano, oggi generale di brigata a Vicenza, è stato per un periodo, dal 1990 al 1994 comandante della compagnia dell’Arma a Castelvetrano, dal 2008 al 2011 comandante provinciale a Trapani. Proprio durante il suo comando a Castelvetrano, è emerso dalla testimonianza, in tempi diversi si diedero latitanti sia Francesco Messina Denaro, morto in latitanza nel 1998, e successivamente anche Matteo Messina Denaro, dal 1993 ancora oggi ricercato. Poco prima di darsi irreperibile, Matteo Messina Denaro, ha ricordato Barbano, fu fermato dai militari a Salaparuta e in quella occasione “disse che lavorava in una tenuta agricola di contrada Zangara (campagne di Castelvetrano ndr) alle dipendenze di Pietro D’Ali ( fratello dell’imputato ndr)”. Durante il periodo di comandante provinciale a Trapani, ha detto di essere stato “dominus delle indagini dell’Arma per le ricerche dei latitanti…mai emerse – ha dichiarato – qualche indizio che portasse alla famiglia D’Alì o a rapporti di Antonio D’Alì con i Messina Denaro”. Risalgono però già a quel periodo anche le indagini da parte dei Ros, cosa questa evidenziata con più domande da parte del procuratore generale. Il generale Barbano ha risposto che era a conoscenza di queste indagini, ma disarmante la sua risposta data alla pg circa l’esistenza di un coordinamento col Ros che indagava su mafia e politica. Barbano ha risposto di sì, e ha ricondotto il coordinamento delle indagini ad una sola riunione alla quale ha detto di aver partecipato alla presenza dell’allora comandante dei Ros, generale Ganzer, lasciando parecchio perplessa la pubblica accusa: “Quindi questo coordinamento si risolse soltanto con una riunione e basta? “Si, una riunione con il Generale Ganzer” ha risposto Barbano che poi ha detto di aver conosciuto D’Ali durante il periodo di comando provinciale a Trapani. Sulle importanti indagini antimafia da lui dirette però poi ha saputo dire ben poco rispetto alle incalzanti domande della pubblica accusa. “D’Ali una persona molto signorile e gentile” così poi la perfetta D’Ascenzo ha indicato essere l’imputato. La difesa l’ha sentita sulle procedure del Viminale a proposito di nomina dei prefetti. Domande riguardanti l’accusa rivolta all’ex senatore trapanese circa il trasferimento lampo da Trapani nel 2003 del prefetto Fulvio Sodano. La teste ha detto di essersi occupata al ministero dell’Interno della gestione delle carriere dei prefetti, faceva le veline del direttore del personale e conosceva le prassi delle nomine. Ha escluso che D’Alì possa mai aver fatto pressioni per far rimuovere Sodano, “la prassi era di tenere i prefetti circa tre anni”, ma a domanda ha precisato di essersi occupato delle carriere dei prefetti sino al 1990 e poi di essersi occupata di immigrazione. Insomma lei quando nel 2003 Sodano fu trasferito da Trapani ad Agrigento, era già da tempo non si occupava più delle citate veline. E se altri testi, come il prefetto Mosca, capo di gabinetto al Viminale nel 2003, sentito in una precedente udienza, aveva detto che Agrigento era una sede più importante di Trapani, la D’Ascenzo ha detto che in effetti Trapani era semmai più importante di Agrigento. E ancora, se in aula altri testi erano venuti a dire che all’epoca del trasferimento di Sodano ad Agrigento c’era una certa emergenza per l’arrivo di migranti, ancora una volta la teste ha negato questa circostanza. È stato sentito anche l’ex deputato nazionale di Forza Italia Pippo Fallica, circa l’opzione per la elezione nel listino del presidente Cuffaro dell’on. Nino Croce, in occasione delle elezioni regionali del 2001. Durante il processo si è detto di pressioni della mafia per far optare Croce per il listino così da lasciare il seggio, al quale era stato eletto nel proporzionale, al primo dei non eletti dei berlusconiani a Trapani, l’on. Giuseppe Maurici, all’epoca “delfino” di D’Ali. Fallica ha risposto dicendo che le regole concordate obbligavano Croce ad optare per il listino, come fece. Non ha saputo invece dire nulla sul movimento Sicilia Libera, sostenuto da dietro le quinte da Cosa nostra, alla vigilia delle elezioni nazionali del 1994, e al quale secondo alcuni pentiti si voleva coinvolgere D’Ali, poi candidatosi al Senato con Forza Italia, venendo eletto per la prima volta al Parlamento in quella occasione. Tra gli altri testi sentiti, sempre citati dalla difesa il sostituto commissario, ora in pensione Biagio Delio. Assenti invece il prefetto Morcone e il trapanese Giuseppe Vento. Prossima udienza il 22 ottobre prossimo.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.