Mazara: ieri la protesta per chiedere la liberazione dei 18 pescatori sequestrati in Libia dall’1 settembre. La voce pacata ma autorevole di mons. Mogavero
Le sirene dei pescherecci di tutta Italia hanno suonato a mezzogiorno di ieri assieme a quelle dei motopesca a Mazara. E’ stata una forma dell’indignazione contro l’atto arbitrario, illegale e violento condotto dai libici del generale Haftar lo scorso 1 settembre, quando in acque internazionali, a 45 miglia da Bengasi, con le mitraglie puntate contro dalle loro motovedette, sequestrarono i pescherecci Atlantide e Medinea con i loro 18 pescatori. Sono trascorsi 97 giorni e di quei 18 uomini non si sa nulla, tranne il fatto che sono tenuti prigionieri in una caserma o un carcere di Bengasi, sotto il controllo dei militari del generale Haftar. “E’ il momento in cui diciamo basta – ha detto ieri il vescovo mons. Domenico Mogavero ai familiari dei pescatori riuniti nell’aula consiliare del Comune di Mazara – è il momento in cui diciamo non ne possiamo più ed è ora che chi si sta occupando del caso rompa ogni indugio . Ogni giorno di più aumentano le sofferenze di chi è trattenuto e di chi attende notizie. Liberateli non possiamo ancora più attendere, attendiamo adesso giustizia e umanità”. L’ultimo contatto con i pescatori risale allo scorso 11 novembre, a 72 giorni dal sequestro. Una telefonata con gli otto marittimi italiani dell’Antartide e del Medinea. “Da allora è passato quasi un altro mese ed è di nuovo calato il silenzio assoluto”, ha detto all’Adnkronos Marco Marrone, armatore del Medinea. Il premier Giuseppe Conte, in un’intervista a Repubblica, ha ribadito l’impegno del Governo nelle trattative: “Stiamo lavorando intensamente, notte e giorno, a tutti i livelli”. “Noi siamo all’oscuro di tutto, non ci danno nessuna notizia”, ha proseguito Marrone, senza nascondere lo “sconforto”. “Ci siamo sempre fidati delle parole del presidente del Consiglio, del ministro degli Esteri e dell’Unità di crisi, ma con il passare dei giorni è normale che subentri un po’ di sconforto”. La speranza è che i 18 marittimi possano tornare presto a casa. “Dopo oltre 90 giorni l’auspicio è che la liberazione sia imminente. Sarebbe bello ricevere questo regalo per Natale”. La telefonata dello scorso 11 novembre Marrone la ricorda bene. La voce di Pietro, il comandante del suo peschereccio, che rassicurava la famiglia sulle proprie condizioni di salute, ma al tempo stesso chiedeva aiuto. “‘Stiamo impazzendo, fateci uscire da qui’, ci ha detto”. Dopo quel contatto telefonico l’incontro con il ministro Di Maio. “Ci ha rassicurato, ci ha spiegato che avevano trovato un nuovo canale, che poteva essere la volta buona – ha ricordato ancora Marrone all’Adnkronos -. Da allora non l’abbiamo più sentito, siamo in contatto con l’Unità di crisi, ma continuano a ripeterci sempre le stesse cose ‘state tranquilli, stiamo lavorando, le trattative sono delicate'”. Per 55 giorni le famiglie dei 18 marittimi hanno protestato a Montecitorio. Incatenati per chiedere attenzione. “Il ministro Bonafede mi è stato molto vicino – ha aggiuntoMarrone -. Mi piacerebbe ricevere la stessa vicinanza umana e personale dal ministro Di Maio e dal premier Conte, sarebbe bellissimo ricevere una loro telefonata, sentire il conforto da parte del Governo nazionale”. Una vicinanza che, invece, è stata manifestata dal governatore siciliano, Nello Musumeci. “Ci ho parlato più volte, si è dimostrato un padre di famiglia, ci ha messo a disposizione un numero diretto”. Intanto, proprio su proposta della Giunta Musumeci l’Assemblea regionale siciliana ha destinato 150mila euro in favore delle famiglie dei 18 pescatori di Mazara del Vallo (a cui andranno 100mila euro) e dei due armatori (a cui sono destinati 50mila euro). “Mi auguro che anche il Governo nazionale pensi a un ristoro per noi e per le famiglie”. Dal 12 agosto le entrate di Marrone si sono azzerate. “Le perdite sinora si aggirano sui 300mila euro, ma se la mia barca non torna non ho più futuro… è tutto quello che mi ha lasciato mio padre, che oggi non c’è più e io mi sento responsabile di aver distrutto tutto quello che lui ha costruito. Il mio appello? Riportateli a casa entro Natale”.
“In mare, nel “mammellone”, una zona di mare pescosa davanti alla Libia, noi andiamo armati di buona volontà, di lavoro, di fatica e con le nostre reti. Loro invece, i libici ci sono sempre venuti addosso con le loro motovedette, ci hanno sparato, qualcuno di noi pescatori è anche morto, alcune imbarcazioni costate tanto denaro o sono state fatte affondare o non ci sono state più restituite”. Dicono che quelle acque sono loro, contraddicendo il diritto internazionale che sostiene che la territorialità delle acque libiche si fermano a 12 miglia dalla costa. “Oggi manca una voce autorevole, non parlo delle questioni romane, dei ministri che staranno facendo qualcosa per i miei compagni di lavoro tenuti in prigione in Libia, manca una voce autorevole per noi pescatori, anni fa avevamo sempre dalla nostra parte Giovanni Tumbiolo, presidente del distretto della pesca, purtroppo un malore ce lo ha portato via, e oggi è desolante il silenzio”.
Siamo a Mazara del Vallo, una volta fregiata del titolo della capitale della pesca nel Mediterraneo, oggi non c’è gioia, c’è tristezza, qui al porto le barche che partono o che arrivano dopo settimane di pesca, si vede che non hanno bagliori. E’ arrivata quasi a 100 giorni una prigionia ingiustificata. Al porto incontriamo Carmelo, 81 anni, per anni ha fatto il pescatore, la sua vita da pensionato continua ad essere trascorsa al porto. Dapprima ci accoglie con un gesto di scherno, come dire lasciatemi in pace, poi invece si apre quando gli chiediamo di quei 18 pescatori. Tra i sequestrati ci sono sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani, otto sono gli italiani, di Mazara. Però voi dite pescatori mazaresi, perché? “Non ci possono essere distinzioni, divisioni, sono tutti mazaresi, sono tutti pescatori mazaresi, è sempre stato così per chi va per mare, e a maggior ragione è così oggi per quello che sta accadendo”.
E’ da 50 anni che va avanti questa “guerra del pesce” nel Mediterraneo. Ma quello che accade oggi non ha niente a che spartire con questa guerra. C’è altro dietro, altre sono gli intendimenti del generale Haftar, lo stesso che qualche anno addietro invece si presentava alla diplomazia italiana per risolvere qualche sequestro. “Noi non sappiamo come stanno i nostri figli, i nostri mariti, i nostri padri, i nostri fratelli – ci dice la più anziana di tutti i familiari, Rosetta Ingargiola, che anni addietro ha perduto il figlio maggiore proprio in mare per l’affondamento della sua barca e oggi teme per la sorte del figlio, il comandante Pietro Marrone – non li abbiamo sentiti, non sappiamo come vengono trattati, io sono pronta a tornare a Roma e a passare le giornate lì in attesa di ricevere la telefonata con la notizia della liberazione”. Ieri si poteva parlare di guerra del pesce oggi questa vicenda dice altro, racconta altro, “non sappiamo cosa – dice uno degli armatori – ma percepiamo che sta accadendo altro e i nostri pescatori rischiano la vita”.
Qui a Mazara c’è una consapevolezza drammatica, a sequestrare i pescatori non sono state milizie in quanto tali agli ordine del generale Haftar, ma milizie diventate veri e propri gruppi terroristici. La Chiesa di Mzara è mobilitata con il suo vescovo Domenico Mogavero, dopo l’appello fatto ad ottobre scorso da Papa Francesco durante l’Angelus domenicale, la Santa Sede non ha smesso di tenersi aggiornata attraverso la Curia. “Restare in silenzio anche davanti l’appello del Pontefice – dice la moglie di uno dei sequestrati – è cosa che provoca angoscia, il sostegno del Papa, della Chiesa per noi è stato importante, abbiamo ricevuto la carica per continuare e noi continueremo fino a quando non torneranno nelle loro case”. “La speranza è l’ultima a morire, ma chiediamo aiuto al Governo. Che il presidente Conte e il ministro Di Maio ascoltino le nostre parole” dice con rabbia la signora Rosetta Incargiola, 74 anni, che da quando suo figlio Pietro Marrone è stato sequestrato occupa giorno e notte l’aula consiliare. “Vogliamo i nostri pescatori a casa – dice l’armatore Marco Marrone – ma vogliamo anche che il Mediterraneo torni ad essere mare nostrum, e non mare mostrum”.