Apuzzo e Falcetta, vittime del dovere senza verità e giustizia

La strage della casermetta di Alcamo Marina: a 45 anni dal duplice delitto dei due carabinieri l’ultimo tentativo di scoprire la verità è prossimo all’archiviazione

L’appuntato Salvatore Falcetta aveva 35 anni ed era originario di Castelvetrano. Il carabiniere Carmine Apuzzo aveva 19 anni ed era campano, di Castellammare di Stabia. Le loro vite vennero barbaramente fermate nelle prime ore del 27 Gennaio del 1976.  I due carabinieri furono ammazzati all’interno della casermetta di Alcamo Marina dove prestavano il loro servizio assieme ad un terzo collega, Giuseppe Procopio che però quella notte non si trovava con loro. A trovarli senza vita furono nella mattina del 27 Gennaio altri loro colleghi, avvisati da una pattuglia della Polizia che era transitata per Alcamo Marina , dovevano scortare a Palermo il segretario Msi Giorgio Almirante, in arrivo da Trapani. I poliziotti ebbero attratta la loro attenzione dall’auto dei carabinieri ferma davanti la casermetta con le ruote a terra e quindi dalla porta d’ingresso della casermetta chiaramente oggetto di una effrazione fatta probabilmente usando la fiamma ossidrica. Si addentrarono all’interno notando gli ambienti rovistati e il filo del telefono tagliato. I poliziotti però non videro, così dissero, i corpi senza vita dei due carabinieri. I cadaveri furono così visti per la prima volta dai carabinieri sopraggiunti dopo la telefonata fatta alla caserma di Alcamo dai poliziotti.

Già in questa sintetica descrizione dei fatti si coglie il giallo, che permane, sula tragica fine dei due carabinieri. Giallo che dura da 45 anni. Apuzzo e Falcetta uccisi, la loro storia attende ancora verità e giustizia.

La cronaca ufficiale ci consegna ancora in questo modo la loro storia, barbaramente uccisi, la casermetta violata, dagli armadi scompaiono divise e armi, venne anche messa a soqquadro la cucina, anche da lì fu portato via qualcosa.

Poche ore dopo la scoperta dei carabinieri ammazzati venne diffuso un documento di rivendicazione da parte delle Brigate Rosse, nel giro di qualche ora altro volantino, le “vere” Brigate Rosse dicono che con la morte dei due carabinieri, “per i quali non avrebbero comunque versato lacrime”, non c’entrano nulla.

Passa qualche settimana e il giallo viene risolto con l’arresto di una banda. I componenti vengono indicati come dei balordi. Vincenzo Vesco, una sorta di anarchico alcamese, confessa e fa i nomi dei complici, Gaetano Santangelo, Vincenzo Ferrantelli, minorenni, Giuseppe Gulotta e Giovanni Mandalà. Vesco si uccide durante il processo di primo grado, si ammazza in cella, impiccandosi, ci riesce sebbene sia monco di una mano. Gli altri davanti ai giudici gridano la loro innocenza, ci hanno estorto le confessioni dicono. Per arrivare alle loro condanne serviranno tra assoluzioni, condanne, sentenze cancellate e processi ripetuti, ben nove dibattimenti. Oggi ci sono sentenze di revisione con le quali sono stati scagionati. Un ex brigadiere, Renato Olino, che partecipò alle indagini sulla strage, ha svelato che quei “balordi” furono incolpati dai suoi superiori pur sapendoli non colpevoli. Bisognava chiudere in fretta quel caso. Nel frattempo nel 1998 è morto uno degli accusati Giovanni Mandalà. L’unico a finire in carcere, ottenendo però prestissimo una serie di benefici è stato Giuseppe Gulotta. Ferrantelli e Santangelo  a condanna definitiva si trovano già lontani da Alcamo, sono fuggiti in Brasile.

Una storia che diventa controversa. Ma non è di questi percorsi giudiziari che oggi voglio scrivere. Oggi è il giorno del ricordo di Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Da quel 12 febbraio 1976, cioè da quando con l’arresto di Vesco cominciò il tortuoso percorso giudiziario, di fatto di Apuzzo e Falcetta non si è più parlato. E con l’andare del tempo di Apuzzo e Falcetta la memoria si è via via affievolita. Due carabinieri ammazzati, oppure “ammazzaru due sbirri”, come dice il mio amico Stefano Santoro, al quale oggi riserviamo uno spazio nel nostro giornale perché racconti una parte della ricostruzione dei fatti che con anni di impegno scrupoloso è riuscito a fare da free lance.

Operavano in una terra difficile, pericolosa per la forte presenza mafiosa, ne più ne meno di oggi. Una terra humus perfetto per le collusioni, dove spesso pezzi del potere politico si intrecciano con Cosa nostra, terra dove è stato frontale lo scontro tra vecchia e nuova mafia, dove i boss erano quelli che contavano di più in Sicilia perché erano quelli che avevano contatti con la mafia americana, terra di traffici, di droga e di armi, terra dove si raffinava l’eroina. Alcamo marina ieri come oggi è super affollata d’estate e quasi un villaggio di case fantasma d’inverno. Apuzzo e Falcetta erano lì che svolgevano il loro servizio e il giovanissimo Carmine non nascondeva ai familiari il suo disagio a stare in quel posto. Lui che a 17 anni a tutti i costi aveva deciso di smetterla col fare il garzone in un negozio per la vendita di bombole e di andare ad indossare da volontario la divisa, sin da piccolo, racconta ancora oggi la sorella Franca, diceva che questo lui sognava di diventare.  Salvatore invece già da anni era carabinieri, aveva raggiunto i gradi di appuntato, certamente più maturo, qualche superiore dell’epoca, come il generale Valerio Pirrera, lo ricorda come persona affidabile, serio militare, appassionato nei suoi compiti. Nessuno dei due carabinieri insomma agli occhi dei colleghi si sono mai presentati come sprovveduti, disattenti.

Certamente di Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta si è detto molto in questi 45 anni. Ed è quello che invece da oggi vogliamo fare. Cominciare a raccogliere ricordi che siano utili a poterli ricordare attraverso il loro lavoro, che non è stato certo come fare una passeggiata, in quelle strade spesso d’inverno isolate, tra quelle case vuote, non si sono ritrovati a non far nulla, dovendo sempre stare attenti a ciò che li circondava. E quell’attenzione ha determinato la loro fine. Ecco perché è importante potere riprendere quel filo che si è spezzato dentro quella casermetta nella notte di 45 anni addietro.

Utili intanto le testimonianze dei familiari, testimonianze che per il trascorrere degli anni sono quasi tutte indirette. E poi riconosciamo che è difficile oggi per i familiari poter parlare, sopraffatti da una giustizia che ancora oggi non c’è e dalla delusione che quella giustizia e quella verità dapprima offerte sono svanite dentro sentenze che hanno annullato le condanne. Familiari che si sono sentiti anche abbandonati dalla società civile che ha finito in questi 45 anni ad interessarsi solo al destino degli arrestati e non al drammatico destino, alla morte, dei due carabinieri. Il ricordo di Carmine e Salvatore non è stato mai rispettato pienamente. Nel nostro Paese purtroppo il ricordo ai caduti, vittime del dovere, vittime delle mafie e della criminalità, vittime del terrorismo, spesso si divide in categorie, quando invece la memoria deve essere uguale per tutti. Ecco in questa divisione per categorie, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta sono finite in fondo alla classifica, vittime di periferia, martiri dimenticati. Loro invece quanto tutti gli altri, allo stesso modo, sono i partigiani caduti a difesa della Repubblica, che significa essere morti a difesa della libertà e della democrazia, per questo li dobbiamo chiamare partigiani.

Facciamo appello perché chiunque possa dare un contributo a ricostruire la storia vera dei due carabinieri uccisi ad Alcamo Marina il 27 Gennaio del 1976.

Qualche anno addietro la Procura di Trapani riaprì dopo la confessione del brigadiere Olino, l’indagine sulla strage della casermetta di Alcamo marina. Un atto di consulenza venne affidato all’0ex pm Carlo Palermo. L’indagine fu affidata alla Squadra Mobile di Trapani. Inquirenti ed investigatori hanno cercato di squarciare il giallo su quel duplice omicidio che è rimasto come apparve sin dalle prime ore di quel 27 gennaio dopo la scoperta dei corpi dei due militari crivellati da colpi d’arma da fuoco. Ma l’indagine riaperta adesso sta per essere richiusa. Senza indagati. La Procura ha chiesto infatti l’archiviazione, ancora oggi l’ufficio del giudice delle udienze preliminari non si è pronunciato. Forse c’è ancora tempo per raccogliere qualche elemento perché la morte dei due carabinieri non resti impunita.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.