Damiani confessa: tangenti, nomine, lo ‘zio’ e quella Giunta

Duecento pagine zeppe di omissis in cui si intravedono gli sviluppi futuri dell’inchiesta della Procura di Palermo sulla corruzione nella sanità siciliana.

Sono gli interrogatori di Fabio Damiani del 20 e 26 novembre scorsi, a cui ne sono seguiti altri di cui non ci conosce il contenuto. Di sicuro sono serviti al procuratore aggiunto Sergio Demontis e ai sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini per approfondire trame e intrecci del comitato di affari che ha gestito le gare pubbliche.

Damiani ha prima ammesso le sue responsabilità e poi ha reso delle confessioni più ampie, facendo i nomi di burocrati e politici in grado di influire i primi sugli appalti e i secondi sulle nomine dei manager. L’inchiesta punta a scoprire il terzo livello, quello delle connivenze della politica.

“Ricattato con delle foto”

Fabio Damiani racconta di essere stato a lungo nelle mani dell’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro e non viceversa, a differenza di quanto sostenga quest’ultimo. L’ex manager dell’Asp di Trapani dice di avere già trovato Manganaro con le mani in pasta quando fu nominato provveditore delle opere pubbliche all’Asp di Palermo. Manganaro viene descritto come “vulcanico” e con un “approccio aggressivo”, capace di aggiudicarsi commesse dell’azienda sanitaria con le sue ditte o per conto di altre imprese.

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