Le parole che non si spengono

21 Marzo, essere testimoni “a ricordar e rivedere le stelle”

Oggi è la XXVI Giornata nazionale dedicata alle vittime innocenti delle mafie. Tema scelto, “a ricordar e rivedere le stelle”. Nonostante l’assenza della manifestazione nazionale, della folla di persone, giovanissimi, giovani e adulti che accompagnano i familiari delle vittime, l’emozione è stata ugualmente forte, a sentir leggere i nomi di mille e trentuno vittime innocenti, a sentir parlare chi ha voluto questa giornata, don Luigi Ciotti, il presidente nazionale dell’associazione Libera, un grande uomo e un Sacerdote con la S maiuscola, a sentir parlare tanti testimoni della lotta contro la mafia, che fanno parte di quella antimafia che ha raccolto e continuerà a raccogliere risultati importanti chi nelle aule di giustizia, chi stando in mezzo ad una società civile che spesso si distrae, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Testimoni che non ricordano le vittime innocenti delle mafie solo il 21 Marzo, ma lo fanno ogni giorno, per acciuffare finalmente quella verità e giustizia che i familiari e non solo loro attendono ancora anche in qualche caso a 40, 50 anni, dai fatti delittuosi.
La Giornata Nazionale dedicata alle vittime innocenti delle mafie ha il merito di farci tuffare dentro le realtà che ognuno vive, dentro le città, i territori. Ogni nome non è solo un nome da leggere, ma ogni nome è una storia da raccontare, quasi sempre una storia incompleta del tutto o in parte di un pezzo di verità. Sfogliare le pagine di queste storie poi danno la sensazione che si legge sempre una stessa cosa, a parte l’assenza di verità e giustizia e il toccare quasi con mano quelle ombre, quei segreti, i depistaggi che sovrastano questi delitti, per tanti di questi omicidi si raccoglie la percezione che sono stati uccisi per avere superato una sottile linea rossa. Sfogli queste pagine e ci si rende conto che non è storia ma attualità. Solo che, e parliamo di Trapani, di questa provincia dove abbiamo scoperto non l’altro ieri ma appena ieri, che ci sono politici che cercano i mafiosi, per chiedere sostegno, consapevoli che poi quei mafiosi sono pronti a chiedere la restituzione dei favore. Abbiamo letto indignazioni contro una recente dichiarazione dell’ex procuratore di Trapani, Marcello Viola, che parlando di questa terra, per la profonda conoscenza investigativa che possiede, ha ricordato che qui la mafia ha vissuto con il consenso sociale, con i professionisti, i politici, gli imprenditori che si sono accodati a Cosa nostra. E così per anni questo consenso ha portato alla puntuale negazione dell’esistenza della mafia, “a Trapani la mafia non esiste” lo disse un sindaco davanti ai corpi straziati prima del giudice Ciaccio Montalto, ucciso il 23 gennaio 1983 e poi innanzi a ciò che di poco è rimasto di Barbara Rizzo e dei suoi due gemellini, Salvatore e Giuseppe Asta, uccisi dall’autobomba che la mafia fece esplodere per tentare di uccide il sostituto procuratore Carlo Palermo. Era il 2 aprile 1985. Trapani resta quella città che nel 1988 veniva vista da Mauro Rostagno nella giusta luce. “Mio padre – disse Maddalena la figlia di Mauro Rostagno nell’aula della Corte di Assise dove 23 anni dopo l’omicidio vennero portati alla sbarra i mafiosi accusati di quel delitto – voleva fare il terapeuta di questa città, Cosa nostra lo ha impedito lo ha fermato”. Una città che ha bisogno di terapeuti che la guariscono, perché lo scenario resta quello delle negazione del fenomeno che non è sconfitto ma le indagini più recenti ci dicono è lì pronto a riemergere. Non possiamo dormire tra due guanciali, come qualcuno pensa di poter fare, Cosa nostra trapanese è presente e gli uomini che sono tornati liberi dopo aver espiato le condanne sono quelli che conoscono bene le armi e il tritolo. Non possiamo stare tranquilli. Una società quella trapanese, intesa come provincia oltre che come capoluogo, che rifugge dal vero comune sentire antimafioso, possiamo dire in linea con i tempi e in linea con quanto succede altrove. In linea con una politica dove di rado si sente pronunciare la parola mafia, anzi una politica che un giorno ci ha detto che con la mafia bisognava convivere e oggi appare una politica che tutto vuol fare tranne contenere il fenomeno mafioso e lo fa in un periodo di forte crisi, dove la liquidità presente nelle casseforti delle mafie viene offerta a chi sta pagando a caro prezzo le conseguenze della pandemia. Trapani ha visto, e vede, politici che con i mafiosi hanno convissuto e convivono, che hanno abbracciato l’attuale super latitante Matteo Messina Denaro, che hanno ospitato nei loro circoli i capi mafia trapanesi, da Totò Minore a Vincenzo Virga sino agli ultimi dei boss riconosciuti come capi del mandamento, i fratelli Francesco e Pietro Virga, l’ex consigliere comunale Francesco Orlando, che forse si incontrano con il nuovo capo, che parlano con gli eredi dei vecchi capi mandamento. La nuova mafia ha il volto dei professionisti, quello di assicuratori o di ingegneri e architetti, di medici o avvocati, forse anche di giornalisti o pseudo tali. Ha il volto di massoni pronti a invitarti nelle loro logge per risolvere i problemi, anche per dirimere magari una lite tra assessori e sindaci, ha il volto di burocrati. Gli uomini con le coppole e le lupare ci sono sempre, ma come ieri ha ricordato il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, durante un seminario di Libera, l’apice delle cupole è costituito dai professionisti. Il fenomeno mafioso resta qui terribilmente serio e può ripresentarsi con la violenza.
Il titolo di questo articolo è “Le parole che non si spengono”. Lo si è scelto perché in questa giornata vogliamo ricordare parte di uno scritto di Gian Giacomo Ciaccio Montalto. E’ una delle lettere con le quali parlava a un altro giudice, Mario Almerighi, morto da poco e la cui assenza si fa parecchio sentire. Questo periodo ha visto scosso e parecchio il mondo della magistratura, il caso Palamara ha squarciato il velo su una magistratura che ha contraccambiato anche i suoi silenzi su verità e giustizia. Trapani conosce bene questa realtà, il Palazzo di Giustizia ha sempre avuto un ventre mollo tale da permettere ai mafiosi di conoscere il lavoro dei magistrati, anzi spesso è successo che il vicino di stanza ha svelato i segreti delle indagini condotte dal magistrato della porta accanto. Non è un fatto di oggi, e ce lo prova proprio una delle lettere di Ciaccio Montalto. Il magistrato così scriveva a Mario Almerighi, alla vigilia di alcune nome per incarichi direttivi a Palermo e Trapani. Era appena il 1980.
“Ti ho ripetutamente parlato della gravissima situazione dell’ordine pubblico e della necessità che a tali incarichi siano chiamate persone in grado di spezzare una certa spirale di legami e collusioni e di operare finalmente nell’interesse di una collettività che trova ogni giorno maggiori conferme al proprio atavico senso della diffidenza verso le istituzioni. Naturalmente, perché ciò fosse possibile, occorrerebbe che tanto le forze politiche che i gruppi di potere all’interno della magistratura locale agissero per una volta avendo presente l’interesse pubblico e non le proprie personalissime beghe. Era però prevedibile che in occasione di queste nomine, anche per l’importanza che le stesse rivestono dovesse scatenarsi una battaglia senza esclusione di colpi. Ed infatti gli accordi interni hanno previsto una spartizione della torta. Queste vicende, ti dicono come si gestisce il potere da queste parti. Ma andiamo avanti. Come comprendi, una complessa alchimia nella quale di tutto si tien conto tranne che dell’interesse pubblico, che per tali cariche ed in una tale situazione, dovrebbe essere veramente l’unico obiettivo. Con la conseguenza, fra l’altro, di ipotecare il futuro di una città e di un Distretto giudiziario per tanti anni ancora”
Oggi primo giorno di primavera abbiamo tutti l’obbligo di ragionare per ripartire bene. Essere etici, nel senso di scegliere, pensiamo che la cosa da fare è scegliere di essere testimoni, anche di ciò che leggiamo in pagine ingiallite dal tempo ma che contengono elementi di grande attualità, “scegliere di testimoniare – come ci ha ricordato ieri don Luigi Ciotti – una memoria viva dove ci siano responsabilità e impegno”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.