“Hanno reso false testimonianze”

Il pm Sara Morri ha chiesto quattro condanne, altrettante assoluzioni e due dichiarazioni di prescrizione. Imputati erano i presunti falsi testi sentiti nel processo di primo grado per il delitto del giornalista Mauro Rostagno

Si avvia a conclusione il processo dove sono imputati 10 testimoni sentiti nel corso del dibattimento giudiziario di primo grado, svoltosi dinanzi alla Corte di Assise di Trapani, per l’omicidio avvenuto nel 1988 del sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Ieri il pm Sara Morri dinanzi al giudice monocratico Roberta Nodari ha svolto la requisitoria. La pena più alta , tre anni , è stata chiesta per il giornalista Salvatore Vassallo. Due anni e sei mesi per il gran maestro che apparteneva alle logge segrete del circolo Scontrino, Natale Torregrossa. Due anni per la vedova di Angelo Chizzoni, generale dei servizi segreti, la svizzera Leonie Chizzoni Heur, e per il dentista, e massone, Antonio Gianquinto. Assoluzione con la formula del fatto non sussiste questa la richiesta per il sottufficiale della Guardia di Finanza Angelo Voza. Mentre assoluzione con la formula della insufficienza di prove per gli operai Liborio Fiorino, Salvatore Martines e Rocco Polisano. Richiesta di prescrizione per il luogotenente dei Carabinieri Beniamino Cannas e per la professoressa Caterina Ingrasciotta vedova dell’imprenditore Puccio Bulgarella, all’epoca editore della tv locale Rtc, dove Rostagno lavorava quando fu ucciso. Delitto di mafia ha di recente sentenziato nella pronuncia definitiva la Cassazione, che ha confermato la condanna all’ergastolo del capo mafia di Trapani Vincenzo Virga ed ha assolto il conclamato killer della mafia trapanese Vito Mazzara, che era accusato di aver ucciso Rostagno. “Questo processo – ha esordito il pm Sara Morri nella requisitoria che è durata circa due ore – ha a che fare con la storia di Trapani, anche con la storia d’Italia e non solo perché Rostagno con la sua attività di giornalista d’inchiesta è certamente una parte rilevante e della storia di Trapani e della storia d’Italia”. “Questo era un processo da fare” ha proseguito, per tutta una serie di collegamenti e comportamenti, ha spiegato, che vanno a collocarsi, diciamo noi, in quel puzzle sul delitto Rostagno che è ancora rimasto parzialmente incompleto. E le false testimonianze di alcuni, di quegli imputati per i quali il pm Morri ha chiesto le condanne, hanno contribuito a non fare completare il puzzle. Testimoni presentati come “amici” di Rostagno che però non si sono comportati come tali. Omissioni nel riferire i fatti che hanno riguardato il luogotenente dei Carabinieri Beniamino Cannas, ritenuto uno degli investigatori dei quali Rostagno si fidava, e che invece per il quale la Corte di Assise di Trapani ha evidenziato numerose lacune nel riferire i fatti. Per Cannas il pm Morri ha chiesto la dichiarazione di prescrizione, sottolineando però che nel corso del dibattimento si sono raccolte le prove della sua falsa testimonianza. Stessa dichiarazione di uguale contenuto per la professoressa Caterina Ingrasciotta. Assoluzione piena per il sottufficiale della Guardia di Finanza Angelo Voza che era accusato di avere omesso di intervenire sapendo di una minaccia che era arrivata a Rostagno. Si tratta di una sorta di avvertimento riferito al giornalista Salvatore Vassallo da un impiegato di banca, tale Ignazio Placenza. I giudici ritennero che Voza fu informato ma non fece nulla. L’istruttoria dibattimentale ha invece provato che Voza di questa minaccia non seppe nulla e semmai di un’altra minaccia si era occupato, avendo assistito in prima persona. E questo quando durante una pausa dell’udienza per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari, il boss imputato Mariano Agate, disse ad un cronista di Rtc presente in aula di riferire a Rostagno, indicandolo come “chiddu vestito di bianco e con la barba”, di finirla con il raccontare “minchiate”. Voza riferì subito la circostanza ai superiori, ritenendo parecchio seria quella minaccia nemmeno tanta velata. Assoluzione per insufficienza di prove per tre operai, Liborio Fiorino, Salvatore Martines e Rocco Polisano. Furono i tre operai che in modo spontaneo si presentarono alla Squadra Mobile di Trapani all’indomani della scoperta in un cava di Valderice dell’auto, bruciata, usata dai sicari che avevano ucciso Rostagno. In quel luogo furono trovati i resti di un pranzo, c’era una sorta di brace, piatti di plastica e lo scontrino di una macelleria. I tre dissero alla Squadra Mobile che erano stati lì per mangiare della salsiccia alla brace, in una giornata in cui non erano andati a lavorare, escludendo che quando erano stati lì c’era un’auto abbandonata e bruciata. Per il pm Morri il racconto dei tre fu parecchio bizzarro. “Stranamente in una generale assenza del dovere civico di testimoniare, improvvisamente compaiono questi tre che raccontano di questo loro strano pic nic, quando nessuno avrebbe mai potuto pensare a loro. Invece si presentano con la voglia di raccontare i particolari di quel pranzo. Non si capisce perché ebbero a fermarsi in quel luogo , i loro racconti sono segnati da contraddizioni logiche, ma – ha proseguito – non si è raggiunta la prova certa della loro falsa testimonianza”. Richiesta di assoluzione per insufficienza di prove. La condanna più pesante è stata chiesta per il giornalista Salvatore Vassallo, una delle firme più note nel trapanese e che a Rtc lavorò con Rostagno col quale si conosceva dai tempi di un comune impegno nel movimento Lotta Continua a Torino. Severa la requisitoria del pm Morri. Vassallo ha riferito in Corte di Assise che un giorno andando in banca, il cassiere Ignazio Placenza gli disse che Rostagno doveva stare attento perché parlava troppo. E questo dopo un servizio firmato da Rostagno sulla condotta dei consiglieri comunali di Trapani, servizio titolato “Palazzo D’Alì e i 40 ladroni”. Placenza, ha ricordato il pm Morri, era il cognato di un soggetto, Andrea Maiorana, legato ai mafiosi di Buseto Palizzolo. E per questa ragione le sue parole vennero intese come vere e proprie minacce. Vassallo le riferì a Rostagno, decisero di rivolgersi a investigatori amici. Vassallo però in aula non ha saputo dire a chi si rivolse, rimase incerta pure la cosa se lo fecero insieme o ognuno per i fatti propri. Ma ad inguaiare Vassallo è stata una intercettazione. Fu sentito parlare con sua figlia Anna dopo essere stato sentito dai poliziotti della Mobile ai quali fu data delega dopo la iscrizione dei 10 falsi testi nel registro degli indagati. “Ho aggiustato un pochino i fatti – questa il passaggio dell’intercettazione letta dal pm ieri in aula – io so delle cose che non posso dimostrare e non le posso dire”.  Anche questo sapere e non poter dire ha reso colpevole il giornalista. Nel corso del processo è stato sentito anche Placenza che ebbe ad usare parole irriguardose per Vassallo quasi a volere negare una possibile confidenza tra i due. Per Placenza ha chiosato il pm, dovrei chiedere la trasmissione degli atti alla Procura per la falsa testimonianza, non l’ha fatto però non è escluso che il giudice al momento della sentenza lo possa fare. Altro imputato rilevante il massone Natale Torregrossa. ha negato incontri con Rostagno o almeno ha ammesso di aver visto Rostagno “ma per parlare di temi spirituali”. Torregrossa ha indicato i luoghi degli incontri, diversi da quelli che Rostagno indicò nella occasione di sue due audizioni come teste, una volta davanti al maresciallo Cannas, e in altra occasione dinanzi ai giudici che si occupavano delle indagini sulla loggia segreta Iside 2. Rostagno da giornalista si occupò del caso, indicando un luogo d’incontro l’agenzia di viaggi di proprietà del Torregrossa e un’altra volta al circolo Scontrino, Torregrossa ha invece detto di aver visto Rostagno alla Saman e in altra occasione ad una conferenza proprio allo Scontrino, mai nessun incontro per discutere delle indagini sulla massoneria. Rostagno in quegli incontri, disse a chi lo aveva sentito, apprese cose rilevanti a cominciare dai contatti diretti dei massoni trapanesi con il capo della P2 Licio Gelli, degli appartenenti alla loggia, dei contatti con i politici. Per Torregrossa, sentito in Corte di Assise, niente di tutto questo, “solo temi inerenti la spiritualità e la fratellanza universale”. “Immaginate un po’ – ha detto il pm Morri – un giornalista d’inchiesta quale interesse poteva avere Rostagno a parlare con Torregrossa di spiritualità”. Rostagno nei mesi antecedenti la sua uccisione si era occupato parecchio di massoneria segreta e di rapporti con la mafia, uno degli ambiti di connessione mai del tutto svelati dalle indagini, proprio anche per reticenze e omissioni, per colpa di silenzi che parte della società civile trapanese ancora oggi coltiva, mentre non c’è indagine anche di quelle più recenti dove non emerga un ruolo della massoneria nei fatti criminali finiti sotto la lente d’ingrandimento di magistrati e investigatori. Legata a Torregrossa la posizione del dentista Antonio Gianquinto. Rostagno in quel verbale (uno di quei verbali che si erano smarriti durante il processo di primo grado e che venne fuori grazie a un articolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia) indicava Gianquinto, che frequentava la Saman (la comunità di recupero per tossicodipendenti fondata da Rostagno assieme alla compagna Chicca Roveri e al guru trapanese Cicci Cardella), come la persona che lo aveva accompagnato da Torregrossa. Gianquinto ha però negato, poi ha detto di non aver partecipato a quell’incontro, poi ha continuato a dire che lui di queste cose non sapeva nulla , “io sono un pesce piccolo altri sono i pesci grandi”. Anche in questo caso rilevanti le intercettazioni. Gianquinto quando sa di dover andare alla Squadra Mobile cercò Torregrossa che però non gli diede udienza. Intermediario l’ex ufficiale dei vigili urbani di Trapani Nino Corselli., E Torregrossa si sfoga proprio con Corselli: “quando doveva essere sentito in Corte di Assise (parlando di Gianquinto ndr) mica è venuto da me per sapere cosa doveva dire, ha parlato lui di pesci piccoli e pesci grandi, ora vuole venire a parlare con me, troppo tardi”. Insomma anche per Torregrossa si è formata la prova della sua falsa testimonianza così come per Gianquinto. Ultima posizione quella della svizzera Leonìe Chizzoni Heur. All’epoca convivente del generale Angelo Chizzoni, trapanese, ai vertici dei servizi segreti, spesso al fianco di Capi di Stato come Oscar Luigi Scalfaro e Francesco Cossiga. La Chizzoni venne indicata dal giornalista Sergio Di Cori come la donna con la quale Rostagno aveva una relazione e dalla quale seppe di un traffico di armi che avveniva sulla pista di un aeroporto dismesso di Trapani. Rostagno appartato con la donna riuscì secondo Di Cori a filmare casse di medicinali che venivano scese da un C 130 e dove venivano caricate casse con armi. Aereo che faceva parte di missione umanitarie per la Somalia dove però arrivavano armi e non medicinali. Di Cori non ebbe riferito da Rostagno il nome della donna, ma un suo identikit venne fornito da una ospite della Saman, Alessandra Faconti che agli investigatori oltre che dire che si trattava di una donna svizzera, ne indicava le fattezze e un possibile nome Leonide, così come letto su un’agenda alla Saman. In ultimo a identificare la donna fu la Digos di Trapani. La signora Heur Chizzoni però ha sempre negato conoscenza e frequentazione con Rostagno, quasi arrivando a negare l’evidenza dei fatti. “Ci scontriamo qui con i segreti della storia d’Italia – ha detto il pm Morri – quel traffico di armi che secondo il racconto di Di Cori per come appreso da Rostagno avveniva sotto protezione di militari, carabinieri, servizi segreti”. La vedova Chizzoni probabilmente nega non tanto per non ammettere la relazione extraconiugale con Rostagno, cosa che non dovrebbe più motivo di nascondere ora che il marito non è più in vita, ma forse per non svelare una pagina oscura del Paese, quegli armamenti che arrivavano in Somalia e che servivano a preparare la guerra civile scoppiata qualche anno dopo quel 1988. Fin qui la cronaca dell’udienza, i difensori discuteranno il 15 aprile il 27 maggio, poi la sentenza.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.