Trapani e quella massoneria antica ma tanto attuale

Pizzolungo, 2 Aprile 1985: a 36 anni dalla strage mafiosa in cui morirono Barbara Rizzo ed i suoi gemellini Salvatore e Giuseppe Asta, la vittima designata di quell’attentato, il pm Carlo Palermo torna sui luoghi dell’agguato e racconta…

A 36 anni dalla strage mafiosa di Pizzolungo del 2 Aprile 1985, non è stata ancora resa completa verità e giustizia sul perché la mafia voleva uccidere il sostituto procuratore Carlo Palermo, da appena 40 giorni arrivato in Procura a Trapani, e sul perché sono morti dilaniati dal tritolo mafioso Barbara Rizzo di 30 ed i suoi due figlioletti, i gemellini Salvatore e Giuseppe di appena 6 anni. Ci sono state condanne pesanti, contro i capi mafia di Palermo e Trapani, Totò Riina, Vincenzo Virga, Nino Madonia e Balduccio Di Maggio, è recente l’ulteriore condanna contro il capo mafia palermitano Vincenzo Galatolo, il boss al quale si riconducono altri eccidi mafiosi, l’omicidio del generale e prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie Emanuela Setti Carraro, e dell’autista del prefetto Domenico Russo, ma anche delitti politici come quelli di Pio La Torre, Giuseppe Insalaco, Michele Reina. La

condanna di Galatolo ha inserito la strage di Pizzolungo in quella strategia di Cosa nostra di attacco allo Stato, scenario però con ombre per via di quei contatti che Galatolo avrebbe tenuto con settori deviati dello Stato. Quegli scenari che sono presenti perfettamente all’interno del processo cosiddetto sulla “trattativa” Stato/Mafia. Ecco abbiamo cominciato da lì l’intervista con l’ex pm, oggi avvocato, Carlo Palermo.
“Non possono essere tracciate linee di demarcazione – dice – tra gli episodi mafiosi, omicidiari, stragisti che hanno segnato la Sicilia e il nostro Paese in un arco temporale vasto che comprende la strage di Pizzolungo ma anche altri delitti da Piersanti Mattarella a Ciaccio Montalto, da Chinnici alle stragi del 92 in cui morirono Falcone e Borsellino, sino alle stragi del 1993. Un arco di tempo dove sono successe altre cose che non sono astratte da questo contesto, come la scoperta delle logge massoniche segrete, dalla P2 alla loggia trapanese della Iside 2, o anche lo scoppio dell’indagine di tangentopoli. Come ci dice la sentenza sulla trattativa Stato Mafia, organizzazioni come la mafia ma anche centri di potere occulto, la massoneria, i servizi deviati, hanno puntato a colpire lo Stato, a spezzare le istituzioni, fermare magistrati e giudici, ordendo quello che il codice penale definisce essere la violenza ad un corpo politico, è l’art. 338 del codice penale «Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o a una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni». E’ il reato di «Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario». La strategia è stata unica e spesso anche armi ed esplosivo sono stati gli stessi a cominciare dal sentex presente a Pizzolungo ma non solo. Ecco credo che bisogna riordinare le indagini partendo dal contestare questi reati anche a chi è uscito clamorosamente assolto dalle indagini sulla strage di Pizzolungo”.
E le prove?
“Stanno tutte dentro i fascicoli delle Procure da Milano a Palermo, da Caltanissetta sino a Trapani. Ma forse nessuno le ha lette bene e certamente non c’è stato il giusto coordinamento. Ogni Procura ha sempre indagato per conto suo, le notizie non sono state scambiate, e così tanti l’hanno fatta franca. Mi creda – prosegue Palermo – non parliamo di storia o di fatti cristallizzati, risolti e che appartengono agli archivi dei Tribunali, certi sistemi non sono stati scoperti e restano oggi più forti di prima. Sono attuali”.
Torniamo al 2 Aprile 1985. Lei ha da qualche tempo ripreso a “indagare”. Ha cercato ovunque, dagli archivi delle commissioni parlamentari, come quella sulla P2, sino a tornare a leggere atti giudiziari, anche negli Stati Uniti. Oggi sa perché Cosa nostra voleva ucciderla?
“Quando ho subito l’attentato – risponde – me lo sono chiesto subito, ma non riuscivo a darmi la risposta, oggi dico che all’epoca avevo in mano delle chiavi senza sapere a cosa servissero, oggi posso cominciare a dirlo”.
E cioè?
“Ci sono nomi che comparivano già nelle indagini che prima di arrivare a Trapani conducevo a Trento da giudice istruttore. Cioè in quella indagine per la quale d’improvviso sono stato stoppato, incarico revocato e mandato dinanzi alla disciplinare del Csm. Nomi che potevo riscoprire a Trapani, le parlo di trame internazionali, che dal Medio Oriente passavano per l’Italia e finivano negli Stati Uniti. trame nelle quali ci sono dentro le mafie chiamate a fare da service per certi poteri per eliminare chi osava interferire con queste strategie. Dentro queste trame la massoneria ma non solo quella che ufficialmente conosciamo. Nel mio ultimo libro X Day ne parlo con cognizione di causa e le dico di più, durante questo mio soggiorno a Trapani, sono venuto per essere qui presente per questo 2 aprile, per l’anniversario della morte di chi mi ha salvato la vita, ho trovato nuovi elementi a conferma della ricostruzione che sto facendo, ma non nascosti, ma conservati tra i faldoni del processo contro gli appartenenti alla loggia segreta Iside 2”.
Cosa ha trovato?
“Vede – dice ancora Carlo Palermo – non ha idea in quanti segreti di Stato mi sono imbattuto in questi anni, troppi in uno Stato come il nostro che dice di essere libero e democratico. Mi hanno opposto il segreto di Stato tanti capi di Governo, Gentiloni, Renzi, Conte, non mi hanno risposto colleghi magistrati, come l’attuale direttore del Dap, Dino Petralia, che fu mio collega in quei 40 giorni in Procura a Trapani. Mi sono imbattuto nel cosiddetto “lodo Moro”, l’accordo di non belligeranza tra l’Italia ed i Palestinesi. Per non parlare di Gladio, Trapani ospitò il centro Scorpione e nelle carte sul delitto di Mauro Rostagno e nell’inchiesta, archiviata a Trapani su Gladio, si parla di palestinesi che segretamente dovevano passare per Trapani e che volevano far finire nella comunità Saman. Ecco c’è un pezzo di storia che passa attraverso la vicenda del terrorista palestinese Al Jawary, arrestato in Italia nel 1991 mentre transitava per Fiumicino per poi volare a Tunisi, i servizi americani pretesero dall’Italia il suo arresto, l’estradizione fu l’ultima cosa della quale si occupò Falcone, l’estradizione avvenne il 17 febbraio del 1992 nello stesso giorno in cui scoppiò tangentopoli, la reazione del terrorismo palestinese fu immediata, furono minacciate stragi in Italia, era saltato così il lodo Moro, Falcone che doveva essere ucciso da Cosa nostra a Roma, venne ucciso a Capaci il 23 maggio del 1992. Al Jawary dagli americani era ritenuto l’autore di attentati risalenti agli anni ’70, e sa quali esplosivi erano stati utilizzati? Il sentex, quello di Pizzolungo per intenderci, quello dell’Addaura, quello di via D’Amelio. La mafia è dentro questi scenari perché con il Medio Oriente ha fatto sempre affari, ha cooperato nel traffico di armi gestito da forme di intelligence internazionale, ottenendo in cambio droga e denaro. E le rotte seguite da questi affari erano quelle sulle quali io indagavo a Trento”.
Ma torniamo a Trapani, Le avevo chiesto cosa ha trovato.
“Si. Le dicevo dei tanti segreti di Stato che mi sono stati opposti. Ma ci sono carte perfettamente leggibili se lo si vuole. Ho trovato accedendo a atti giudiziari sulla loggia segreta trapanese Iside 2 non le tracce, ma le carte, di quella che è la più antica forma massonica internazionale, quella dei “rosacroce”, quell’ordine segreto risalente alla Germania del 17° secolo, che si prefiggeva un nuovo ordine del mondo, ci sono ancora. Compaiono nelle carte sull’inchiesta di Milano sulla P2, nell’inchiesta di Gherardo Colombo, e anche nei fascicoli della Iside 2, nel centro Scontrino furono trovate le carte, le ho estratte tutte in copia, sono oltre 150 pagine. I rosacroce erano qui mentre cercavano di uccidermi. I rosacroce non erano qualcosa sotto la P2 ma stavano e stanno sopra ancora oggi ad ogni forma massonica conosciuta. Ecco io avevo nel 1985 le chiavi ma non sapevo a cosa servissero, cosa aprivano, se avessi continuato a indagare forse potevo arrivarci e fermare quello che accadeva e che ancora oggi continua. Oggi mi fa impressione rileggere dichiarazioni di Capi di Stato che in quegli anni, dopo la caduta del muro di Berlino, parlavano della necessità di un nuovo ordine mondiale, cito Bush senior, usando le parole dei rosacroce. Nuovo ordine mondiale significò in Italia gettare a terra la prima Repubblica, facendone nascere un’altra, togliendo di mezzo magistrati come Falcone e Borsellino, facendo nascere un’altra di Repubblica sui corpi martoriati delle vittime delle stragi del 1992 e del 1993″.
Basta sfogliare tra alcune carte e trovare a Trapani la presenza dei “rosacroce”. Nel 1864 quando fu istituita la Loggia Minerva, il cui gran maestro fu il barone Bartolomeo Riccio di San Gioacchino che tra il 1879 e il 1889 fu sindaco di Trapani, fu deciso, proprio su richiesta del barone Riccio di San Gioacchino, la installazione in provincia di Trapani del Supremo Sovrano Capitolo dei Rosacroce. Presenza mai svanita.
“Si credo proprio di si, la massoneria non cambia, si perpetua. Le carte dei rosacroce le ho trovate nel fascicolo dove si descrive la figura di Michele Papa, quel massone catanese che in Sicilia era l’ambasciatore di Gheddafi”.
La strage di Pizzolungo è dentro questi scenari quindi?
“La strage di Pizzolungo ha visto assieme i massimi sistemi della mafia assieme ai massimi sistemi della massoneria. Oggi vedo assieme e sempre a quella macchia di sangue stampatasi il 2 Aprile su quella casa di Pizzolungo, tante altre macchie, tanto altro sangue, e mi impongo di continuare a cercare…dappertutto, guardando ad un mondo governato sempre dagli stessi centri di potere garantito nella continuazione dalle solite vigliacche appropriazioni.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.