Un commando aspettava Borsellino

Il racconto del pentito Maurizio Avola. I pm di Caltanissetta lo stanno sentendo. Nei verbali ci sono Messina Denaro e la massoneria

La massoneria come anello di collegamento tra i potenti delle istituzioni e la mafia. Lo scriviamo da tempo, spesso finendo con l’essere trattati come visionari, quasi dei persecutori dei massoni. Lo scriviamo da tempo che la massoneria collusa con Cosa nostra è in particolare quella trapanese. Non c’è stata indagine nella quale i “fratelli” non hanno fatto la loro comparsa, o direttamente sugli scenari, o ancora come ombre. L’ultima indagine trapanese in tema di massoneria è quella denominata “Artemisia”. I carabinieri coordinati da un pool di magistrati trapanesi, Sara Morri, Francesca Urbani e Andrea Tarondo (quest’ultimo adesso è in missione in Perù ad occuparsi con un gruppo di magistrati internazionali di traffici colossali di cocaina), hanno scoperchiato la pentola trovando dentro politici e colletti bianchi che si erano fatti da soli una loggia massonica, per i pm il gran maestro sarebbe stato l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto, lo stesso che molti anni prima dalla Dia era stato indicato in rapporti con Matteo Messina Denaro. Proprio ieri i magistrati Urbani e Morri sono state sentite dalla commissione nazionale antimafia, dal gruppo che si occupa di massoneria e mafia. Adesso su queste connessioni c’è un ex uomo d’onore catanese che ne sta parlando, Maurizio Avola, il killer di Pippo Fava. E’ a Michele Santoro prima che ai magistrati che Avola ha raccontato anche di queste cose. Santoro ha scritto tutto nel suo libro che uscirà domani, “Nient’altro che la verità”. Dal 20 gennaio scorso Avola parla con i magistrati di Caltanissetta. Le indagini sulle stragi del 1992, come il delitto di Ciaccio Montalto, il pm trapanese ucciso a Valderice il 25 gennaio 1983, sono capitoli che si riaprono, per essere aggiornati. I magistrati stanno tentando di dare corpo al movente di stragi e delitti rimasti così nel limbo. Ma Avola sta parlando anche tanto di massoneria. Attraverso la massoneria – si può leggere nel libro di Michele Santoro (scritto con il contributo importante di Guido Ruotolo che ha avuto il merito di “scoprire” il pentito Avola) – Messina Denaro seppe che pg in Cassazione per il maxi processo sarebbe stato il calabrese Antonio Scopelliti, ma anche come Falcone si stava muovendo al ministero di Giustizia dall’ufficio di direttore degli affari penali. Avola sa molto del super boss trapanese latitante dal 1993, lo conosceva e lo incontrava a Catania, «Non era mai solo, quando veniva a Catania per divertirsi. Si portava donne bellissime con un fisico da modelle». Le abitudini del boss? «Si muove solo per incontrare persone importanti. Avvocati, medici, notai, commercialisti. E giudici. Massoni». E’ a Castelvetrano che nell’estate del 91 si decidono le stragi del 1992. E su via D’Amelio la verità sconvolgente. Per uccidere Paolo Borsellino non fu preparata solo l’autobomba. Se per una ragione qualsiasi l’innesco non avesse funzionato, c’era pronto un commando nascosto dentro un furgone, e Messina Denaro c’era anche lui, in attesa alla guida di un’auto. Avola c’era anche in via D’Amelio, vestito da poliziotto, fu lui a dare il segnale per azionare il telecomando. Matteo Messina Denaro pericoloso lo diventa subito da giovane, Avola racconta del delitto di Ciaccio Montalto e accenna alla ragione. Ciaccio Montalto aveva intuito i rapporti tra mafia e logge segrete nel trapanese. Intuizioni che aveva anche il pm Carlo Palermo, sfuggito all’autobomba di Pizzolungo del 2 aprile 1985, dove morirono Barbara Rizzo Asta ed i suoi due gemellini di sei anni, Salvatore e Giuseppe Asta. “I miei angeli” dice oggi di loro Carlo Palermo che da anni lavora e legge le carte di tanti processi, scoprendo che i segreti d’Italia hanno come comune denominatore la massoneria. Avola ha riempito pagine di verbali. Con Michele Santoro – lo si legge nel libro – conclude i suoi incontri dicendosi sicuro che «Cosa Nostra c’è ancora, l’alleanza che tiene è quella tra la mafia siciliana e quella americana». Avola, ma anche il pentito alcamese Giuseppe Ferro, sono convinti che l’ordine delle stragi arrivò proprio dagli Usa, «mafiosi e uomini potenti». «Cosa nostra – ha ancora detto Avola a Santoro – oggi non ha più necessità di mettere bombe. Se deve eliminare un politico, un magistrato, un poliziotto o un giornalista usa altri mezzi». Non spara più e non mette più le bombe, perché una guerra si fa per ottenere poi la pace, ma a leggere le parole di Avola gela il sangue quando dice «a ogni modo, è un consiglio che ti do: mai dire mai. Cosa Nostra c’è ancora, questo sicuro è». Con buona pace di chi va dicendo che la mafia non esiste e che certa massoneria non esiste più.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.