Abbiamo imparato dalle parole dei martiri per la giustizia e la libertà? Se ci focalizziamo sul dopo Strage di Capaci, è triste ed amaro il pensiero e la risposta: NO
Ieri le commemorazioni per ricordare la Strage di Capaci avvenuta il 23 Maggio 1992, nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Un evento che scosse le coscienze, ma dal dopo strage sembra che in molti, anzi moltissimi, abbiano dimenticato la rabbia di allora che doveva portare a grandi rivoluzioni culturali, non si può negare che qualcosa è cambiato, ma molti buoni propositi di allora si sono trasformati in nulla o belle e teatrali parole da spendere durante le commemorazioni.
Una cosa è certa, è brutto dirlo, ma è la verità: alle commemorazioni visi commossi e parole dure rotte dall’emozione, ma molte volte tutto questo risulta come un teatrino. Tanti bei discorsi contornati da parole false e da occasione, perché pronunciate da politici, e non, che il giorno dopo hanno già dimenticato le parole di Falcone e continueranno ad attaccare quei giudici e quelle associazioni che operano culturalmente ed economicamente per togliere alle mafie manovalanza e consenso. In sintesi si ripete e si ripeterà la storia, quella che vedeva Falcone osteggiato da politici e colleghi, accusato di essere politicizzato o di voler fare la star, oggi toccherà a qualche altro giudice.
Politici, ma non solo, e ipocrisia
Da anni vediamo alcuni politici che utilizzano il nome di Falcone per farsi identificare come antimafia, ma nei fatti contraddirne il pensiero e l’azione, lo stesso succede quando questi parlano di altri martiri, come per esempio Paolo Borsellino. A casa mia tutto questo si chiama ipocrisia, sia ben chiaro non è uno sfogo dettato dalla rabbia nel riscontrare ancora troppa ipocrisia, ma questo pensiero deriva dai fatti: nessuna verità, o pochissime, sono state svelate, e per esempio quando c’è stata la possibilità di avere ai vertici delle istituzioni regionali il simbolo del cambiamento, Rita Borsellino, molti siciliani, magari anche alcuni che nei giorni della Strage di Capaci e dopo questa erano tra i rabbiosi e vogliosi di cambiamento, hanno deciso per un altro esponente politico, che poi è stato condannato per favoreggiamento personale verso persone appartenenti a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio, e si potrebbe continuare con esempi per intere giornate. E’ triste dirlo, qualcosa sì è cambiato, ma non in maniera tale che la “storia” non si possa più ripetere.
La mafia è cambiata, ma certa “antimafia” no
Un fondamento del pensiero di Falcone è che la mafia non è qualcosa di astratto e lontano dalla vita quotidiana di ognuno di noi, quindi per ben interpretarne azione e cambiamenti non bisogna “viaggiare” con pensieri che la rendono qualcosa di al di fuori del contesto sociale e culturale, e principalmente bisogna seguire il denaro, perché è la sua linfa vitale insieme al consenso sociale. Detto ciò si potrebbe pensare che alcuni che operano e si dicono antimafia abbia capito che la mafia non è più la stessa, ma non è così, e che i vari “militari della mafia” sono solo la parte più in vista, e sembra esser diventata la parte più debole del sistema cosa nostra, ma non è così. Certa “antimafia” cerca di porre l’attenzione solo su vecchi e nuovi boss di quartiere e sui “soldati”, forse per nascondere che la mafia è anche finanza, massoneria e colletti bianchi, cioé quella che operano nel buio nel settore economico e professionale per rendere puliti i soldi proventi da vari affari, come per esempio la droga. Il perché qualcuno fa ciò? Si potrebbe pensare male, mi attengo ai fatti svelati da indagini e sentenze, non ai teoremi.
Matteo Messina denaro, morto un Papa se ne fa un altro
Sì, Matteo Messina Denaro è il capo della mafia in questo momento, però concentrarsi solo sulla sua figura, sempre rifacendosi a ciò che ispira il “pensiero” Falcone, è riduttivo e sbagliato, perché Messina Denaro non è altro che un altro nome con il quale si identifica la mafia in questo momento, ma non è solo lui la mafia e non è il potere più forte all’interno di essa, infatti sempre la storia ci dovrebbe insegnare che chi è latitante per tanti anni non può non esser coperto da qualcuno che da qualcuno che ha il potere di farlo, e quando non servirà più: “morto un Papa se ne fa un altro”. Una cosa da sottolineare: non si può ridurre la latitanza del boss mafioso alla questione culturale del territorio, che aiuta il mafioso a non essere catturato, è solo un’altra storia per distogliere l’attenzione dai colpevoli che stanno più in alto, perché sul versante cultura bisogna dire che qualcosa è cambiato in Sicilia e più che in altre parti dell’Italia.
La guerra non è vinta
Si parla di mafia stretta alle corde e si presentano alcuni risultati come colpi finali, ma in verità bisogna ancora una volta ribadire che la guerra non è vinta e che però il vaccino siamo anche noi, in particolare come agiamo nella quotidianità. Non ci vogliono eroi, ma semplicemente ognuno faccia quel che può e che è di propria competenza: agire onestamente e contrastare la cultura mafiosa. Tutto ciò porterà a sconfiggere le mafie: “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni” Giovanni Falcone.