Il nipote della “primula rossa” sentito in commissione Antimafia
La “collaborazione di mio padre ha sferrato un colpo durissimo alla famiglia Messina Denaro”, ma “io ho ricevuto la confisca di casa e maneggio, che per me sono l’unica bombola d’ossigeno”. A dirlo, in audizione in Commissione parlamentare Antimafia, è stato Giuseppe Cimarosa, nipote del boss Matteo Messina Denaro (che è cugino di primo grado della madre) e figlio del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa. “Ci tengo a sottolineare – ha esordito Cimarosa – che non ho mai incontrato o conosciuto Messina Denaro né la sua famiglia. Mio padre è stato arrestato due volte per Mafia, la prima nel 1998 e poi nel 2013, ma voglio sottolineare che non è mai stato né un assassino né un estortore. E’ stato accusato di aver ‘agevolato’ la famiglia di Messina Denaro mettendo a loro disposizione la sua azienda edile a Castelvetrano. Non lo sto giustificando, ma ho capito che per mio padre fare delle scelte morali non era così semplice”. “Mio padre – ha proseguito Cimarosa – nel 2013 viene arrestato ma inizia subito il suo percorso di collaborazione coi magistrati. Aveva capito che era l’unico modo di tagliare il cordone ombelicale che lo legava a questo sistema. Io sono stato molto determinante nel far sì che mio padre prendesse una decisione di questo tipo. La sua collaborazione è stata importantissima e determinante, anche perché ha portato alla condanna della sorella di Messina Denaro, Patrizia, del nipote Guttadauro, dei cugini e dei cognati. Diciamo che mio padre con la sua collaborazione ha sferrato un colpo durissimo alla famiglia Messina Denaro a Castelvetrano. E’ stato l’unico che ha rotto questo muro di omertà. Lo dico ad alta voce perché è la cosa di cui vado più orgoglioso, l’eredità più grande che mio padre mi ha lasciato”. Cimarosa ha quindi aggiunto: “Noi non abbiamo accettato il programma di protezione che i magistrati ci hanno proposto non perché non avevo paura, ho paura anche adesso, ma non me la sentivo di rinunciare alla mia libertà e alla mia identità. Di conseguenza anche mio padre ha rifiutato il programma, perché era inutile che lui fosse protetto mente io, mio fratello e mia madre rimanevamo esposti. Quindi non abbiamo mai gravato sullo Stato. Mio padre ha collaborato fino a quando è morto di cancro, ma nel frattempo, dopo l’avvio della sua collaborazione, noi siamo stati isolati ed emarginati completamente da tutta la società. La famiglia Messina Denaro, dunque, non si doveva preoccupare di attivare atti intimidatori nei nostri confronti, perché ci ha pensato l’isolamento della società, al punto che mio fratello si è trasferito perché alcune persone che avevano delle aziende gli hanno detto che non avrebbero mai potuto assumere uno dei figli di Cimarosa, altrimenti avrebbero dovuto chiudere le loro società”. Subito dopo Cimarosa si è soffermato sulle conseguenze che la vicenda di suo padre ha avuto sulla sua famiglia e su di lui in particolare. “Io sono un istruttore di equitazione – ha affermato –, ho una struttura dove faccio scuola di ippoterapia, lavoro in quest’ambito da molto prima di tutte queste vicende, quindi non era molto semplice, per la mafia, impedirmi di lavorare, anche se da quando è venuta fuori la notizia della collaborazione di mio padre, il 90% della clientela che avevo al maneggio è sparita, siamo rimasti da soli, ma poi siamo ripartiti. Ma parallelamente è accaduto che a carico di mio padre fosse avviato un procedimento di misura di prevenzione, le cui conseguenze sono ovviamente ricadute su di me, mio fratello e mia madre. Noi siamo incensurati, non abbiamo nessuna pendenza legale, ma alla morte di mio padre questo procedimento è ricaduto soprattutto su di me. Parliamo della casa dove vivo, di proprietà, a cui annessa c’è la struttura col ricovero dei cavalli. Una piccola realtà che non produce chissà quale fatturato”.
“Noi siamo un’associazione sportiva – ha spiegato Cimarosa –, faccio questo lavoro per passione, lo facciamo più per il sociale che per un ritorno economico, a me basta poter sopravvivere. Però il problema che mi attanaglia e non mi fa dormire la notte è che io ho ricevuto la confisca in secondo grado di casa e maneggio, che per me sono l’unica bombola d’ossigeno per lavorare e di cui non posso fare a meno”. “Io sono convinto – ha sottolineato – che la legge che attacca il patrimonio della Mafia sia giustissima, ma secondo me c’è una piccola falla, perché non si è mai tenuto in considerazione di realtà specifiche e particolari come la mia, perché non per forza tutti i figli dei mafiosi sono mafiosi. Ma soprattutto, quale altro mafioso deciderebbe mai di collaborare se le conseguenze più gravi poi ricadono sulla sua famiglia e sui figli? A me non interessa avere la proprietà di qualcosa, non sono una persona attaccata al bene materiale, l’unica cosa che chiedo è che mi venga permesso di continuare a vivere a lavorare a Castelvetrano, perché per me è diventata una battaglia personale”. “Quando mio padre ha deciso di collaborare coi magistrati – ha proseguito Cimarosa –, è stato il regalo più grande che mi potesse fare, soprattutto mi ha regalato la libertà di poter dire ciò che io dicevo già da bambino, perché il mio mito non era Matteo Messina Denaro ma Peppino Impastato. Quando vidi per la prima volta il film ‘I cento passi’ rimasi sconvolto. E’ stato una chiave di volta nella mia battaglia personale contro mio padre, contro la mia famiglia e contro tutto questo sistema”.
fonte antimafiaduemila.it