I giudici lo hanno ritenuto colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Inflitti sei anni, la Procura Generale potrebbe chiedere l’arresto. Indagini per falsa testimonianza per l’ex ministro Pisanu e Cuffaro
Condanna a sei anni per l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, trapanese, senatore di Forza Italia (e per un periodo vicino all’ex ministro Angelino Alfano), ritenuto colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. La pronuncia dopo due sentenze identiche di “prescrizione e assoluzione” giunta oggi pomeriggio dalla terza sezione penale della Corte di Appello di Palermo. Per D’Alì, senatore dal 1994 al 2018, c’è stato infatti un processo di appello bis dopo che la Cassazione aveva annullato le precedenti sentenze. La procura generale di Palermo che come in primo grado aveva chiesto una condanna a sette anni e 4 mesi, aveva insistito in Cassazione per annullare le sentenze e la massima corte aveva dato ragione all’allora pg Nico Gozzo che aveva presentato un corposo ricorso, con dentro numerosi faldoni di indagini giudiziarie degli ultimi 20 anni, che vedono D’Ali’ vicinissimo ad imprenditori risultati appartenere o vicini a pericolosi mafiosi trapanesi. Indagini, per lo più frutto del lavoro investigativo della Squadra Mobile trapanese diretta da Giuseppe Linares, oggi a capo della struttura del Viminale che si occupa di sequestri e confische, e coordinate da un pool di magistrati, in particolare i pm Paolo Guido e Andrea Tarondo, che partirono dal rapporto che esisteva tra D’Ali e i famigerati Francesco e Matteo Messina Denaro, l’attuale latitante, e del “patto” stretto con loro per cedere a un prestanome, l’odierno pentito Francesco Geraci, gioielliere di Castelvetrano, suoi terreni arrivati poi nel possesso di Totò Riina. Un lungo processo, cominciato nel 2011 e che si è svolto in tutti i gradi di giudizio sempre con il rito abbreviato, ma durante il quale sono stati fatti transitare nuove investigazioni, come, l’ultima, quella dei Carabinieri di Trapani coordinati dal colonnello Antonio Merola, che materialmente fotografarono poco tempo addietro D’Ali’ in compagnia di esponenti della mafia rurale del trapanese. L’odierna condanna a sei anni dà quindi ragione all’accusa: “D’Alì con piena coscienza e volontà ha favorito Cosa nostra per più di 20 anni”. Contro D’Ali’ pesano alcuni interventi fatti proprio mentre era sottosegretario all’Interno, come il trasferimento da Trapani in un battibaleno dell’allora prefetto Fulvio Sodano, che si era scontrato con lui proprio a proposito della difesa, esercitata dal prefetto, dei beni confiscati, come l’impresa Calcestruzzi Ericina che senza l’aiuto di Sodano sarebbe andata fallita, e che apparteneva al boss ergastolano Vincenzo Virga. Tra gli atti del processo la circostanza di un telegramma ricevuto da D’Al dal carcere e ritenuto provenire proprio dal figlio del boss, Pietro Virga, che lamentava come loro si stavano facendo il carcere. C’ poi la vicenda del tentato trasferimento da Trapani del Capo della Mobile, Giuseppe Linares, proprio mentre questi si occupa di indagini per la ricerca di latitanti, e dei rapporti tra mafia, politica e imprese. Circostanze svelate in diversi verbali dal collaboratore di Giustizia, Nino Birrittella, e da un sacerdote, Ninni Treppiedi, che per un periodo fu vicino al senatore D’Ali, tanto da raccogliere “segretissime confidenze”, e dal quale si divise dopo avere ricevuto richieste. Insomma l’uomo politico trapanese vicino a Silvio Berlusconi quanto anche a Marcello Dell’Utri, quest’ultimo anche lui condannato per concorso esterno, al vertice delle istituzioni nazionali e una sorta di “commissario” nel territorio trapanese, e’ stato anche presidente della Provincia e sono passate passate da lui gran parte delle vicende politiche locali. Nel 2017 mentre era candidato a sindaco di Trapani fu raggiunto da una richiesta di obbligo di dimora a Trapani per pericolosità sociale, misura di prevenzione confermata dal Tribunale di Trapani ma poco tempo addietro revocata in appello per mancanza di attualità dei rapporti con soggetti mafiosi. Il coperchio di una pentola dove per decenni si sono mischiati rapporti tra mafia e istituzioni, per la Procura Generale lui, l’ex senatore D’Ali’, sarebbe stato il testimone del passaggio dalla mafia rurale a quella più moderna della mafia diventata impresa. Le risultanze investigative da tempo lo avevano indicato come esponente della cosiddetta mafia borghese, quella che a Trapani ha sempre regnato controllando le banche e la politica. I giudici di Appello hanno trasmesso poi alla Procura di Palermo gli atti relativi alle deposizioni rese a favore del senatore D’Ali’ dall’ex Governatore della Sicilia Cuffaro, dall’ex ministro dell’Interno Pisanu, che smentirono interventi di D’al per il trasferimento da Trapani del prefetto Sodano. Nella lista dei presunti falsi testi anche il pentito Giovanni Ingrasciotta e il prefetto Carlo Mosca deceduto però di recente. Ed ancora l’ex funzionario del Demanio Francesco Nasca e gli imprenditori Tommaso Billeci e Fausto Volante. I giudici hanno riconosciuto risarcimenti alle parti civili, il Centro Pio La Torre, Libera, l’associazione antiracket di Castellammare del Golfo, Alcamo e Mazara. Rigettata la richiesta di risarcimento avanzata dal Comune di Castellammare del Golfo.