Trent’anni addietro il delitto dell’imprenditore che si ribellò al “pizzo” della mafia
Trent’anni dal delitto mafioso di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano che si ribellò pubblicamente alla richiesta estorsiva arrivata da Cosa nostra, e ancora oggi la realtà siciliana resta pesante, Cosa nostra continua a intascare il denaro del “pizzo” e questo significa che c’è chi continua a pagare questa tassa sporca del sangue di tanti morti ammazzati, l’elenco di chi è morto per essersi ribellato al racket delle estorsioni è lungo, non c’è solo Libero Grassi.
Ma la realtà ci racconta ancora di altri silenzi: l’isolamento nel quale si trovò Libero Grassi già all’interno delle associazioni di categoria, imprenditori, commercianti, oggi resta senza spiegazioni, giustificazioni, nessuno ha mai raccontato perché Libero Grassi restò solo a combattere la sua battaglia contro gli esattori mafiosi. Qualcuno di quelli che dovrebbe parlare magari oggi come ieri sarà presente alle celebrazioni, un po’ come accade per Falcone e Borsellino o altri giudici ammazzati come il pm trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto, chi in vita, da dentro i Palazzi di Giustizia, li osteggiava, trova ad ogni anniversario il modo e la maniera di parlare e celebrarli. Restano le pagine oscure o i “pezzi mancanti” – dal titolo di un bel libro scritto anni addietro dal collega di >Repubblica Salvo Palazzolo che in questi anni invece di raccogliere quello che manca in tanti delitti di mafia, paradossalmente potrebbe essere aggiornato con altri pezzi non trovati -, resta una politica che ha deciso di mettere da parte l’emergenza mafiosa. Politica troppo silenziosa come ha detto ieri su Repubblica Davide Grassi, figlio di Libero. Trent’anni dopo inseguiamo ancora la vittoria contro la mafia, quando sembra acciuffata invece sfugge di nuovo e si allontana. In questa Sicilia circolano ancora personaggi che dovrebbero essere impresentabili, ma con la scusa che nessuno li ha mai processati si ritengono definitivamente immuni, e possono continuare a circolare per i palazzi del potere. E’ vero alcune leggi nel tempo sono state approvate, sulla carta lo Stato non è disattento verso chi denuncia, ma manca proprio chi denuncia. Nascono le associazioni antiracket, ma spesso restano vuote, inutili. C’è un’antimafia che si è adagiata e non alza la voce, c’è un’antimafia che si occupa solo di creare scompigli, la mafia assiste e ringrazia.
La mafia non usa più le armi, usa l’arma che in Sicilia assieme alle lupare ha sempre bene usato, quella di suscitare discrediti, mascariamenti, ma spesso Cosa nostra non usa più nemmeno questi comportamenti, una certa antimafia le viene in aiuto, provocando le tempeste del discredito talvolta costruite a tavolino. Ancora una volta oggi si parlerà della lezione di Libero Grassi, ma ci sarà il silenzio se qualcuno chiedesse chi questa lezione l’ha imparata davvero. Nessuno o pochi per davvero. Analisi ci rendiamo conto amara, ma per amore di libertà dobbiamo esternarla. Vorremmo in Sicilia una informazione più forte, ma in Sicilia ogni giorno l’informazione perde un pezzo e fa passi indietro. I social poi non ne parliamo, c’è chi sa usarli ma non per far crescere. E allora? Torniamo alle “agorà”, raduniamoci nelle piazze, guardiamoci in faccia e leggiamo le sentenze, gridiamo nelle piazze quello che si è scoperto anche a proposito di chi dai processi è uscito assolto o oppure non c’è mai entrato. Raccontiamo degli “spioni” che ci sono stati, e ci sono, dentro le istituzioni, di certi prefetti che tali non dovrebbero essere, di magistrati che hanno venduto il lavoro dei colleghi, di certuni giornalisti che non hanno scritto o per paura o per convenienza. C’è una Sicilia da raccontare ogni giorno, cambiamo lo stile delle celebrazioni degli anniversari.