Dal 3 febbraio scorso, su richiesta della procura antimafia di Reggio Calabria, la Caronte & Tourist è in amministrazione giudiziaria. Per i magistrati sarebbe infiltrata dai clan
Fra tutti gli industriali, l’assemblea dei soci di Sicindustria Messina ha scelto di affidare la presidenza a Pietro Franza, 52enne espressione del gruppo industriale di famiglia. Un colosso nell’Isola, con interessi in diversi settori di business, dall’ospitalità turistica al real estate, dalle telecomunicazioni ai trasporti.
Ma proprio l’impero costruito dai Franza sul traghettamento da e per la Sicilia e le isole minori – gestito insieme alla famiglia Matacena quasi in regime di monopolio– ha provocato alla famiglia più di un grattacapo nell’ultimo anno. Dal 3 febbraio scorso, su richiesta della procura antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, la Caronte & Tourist è in amministrazione giudiziaria. Uno strumento previsto dal nuovo codice antimafia che esautora la governance aziendale e mette l’azienda nelle mani dei manager di Stato. Sei mesi, avevano deciso all’epoca i giudici per il colosso del traghettamento, ma a settembre il provvedimento è stato prorogato di altri sei.
Motivo? Secondo i procuratori aggiunti Giuseppe Lombardo e Gaetano Paci e dai pm Walter Ignazzitto e Stefano Musolino, con la società i clan ci hanno banchettato e dalle indagini emerge “la permeabilità della società Spa rispetto ad infiltrazioni della criminalità organizzata, nonché l’agevolazione garantita in favore di più soggetti legati alle locali articolazioni di ‘ndrangheta”.
E la Caronte&Tourist è un colosso del valore di mezzo miliardo di euro e con un capitale sociale di quasi 2,4 milioni, detenuto dalla famiglia Matacena, che in dote ha portato la “Caronte” e dalla famiglia Franza, storica titolare della Tourist, e da un fondo inglese, di recente entrato nella compagine societaria, la Basalt Infrastructure partners, cui farebbero capo diverse società di navigazione.
Un gioiellino, in cui i clan – sostengono i giudici – avevano interessi e contatti. A raccontarlo, innumerevoli inchieste, a partire da quella sulla latitanza dell’ex deputato Amedeo Matacena, tuttora latitante a Dubai, che delle sue quote in società si è disfatto poco prima di darsi alla fuga all’estero per dribblare una condanna definitiva per concorso esterno come referente politico del clan Rosmini. Più di recente sono state invece le indagini Sansone e Cenide della procura di Reggio Calabria a mostrare come i clan avessero porte aperte e facoltà di controllo su servizi ed assunzioni all’interno della società. Dati confermati anche da diversi pentiti, come Vincenzo Cristiano e il boss imprenditore Giuseppe Liuzzo.
“Nel confermare la nostra fiducia non formale nell’operato della Magistratura – aveva dichiarato nel febbraio scorso Olga Mondello Franza – siamo certi che in tempi ancor più brevi di quelli usualmente previsti per situazioni siffatte riusciremo a dimostrare la assoluta liceità delle nostre attività e l’importante percorso di legalità che ci vede da tempo protagonisti”. Ma nel settembre scorso il provvedimento è stato al contrario prorogato. Potrà andare così per massimo due anni. Poi le alternative previste dalla norma sono due: restituzione o avvio dell’iter per la confisca.
Fonte repubblica.it