Di Riccardo Lo Verso
La lettera intimidatoria del latitante arrivò a destinazione nel 2015. Nessun soprannome, era firmata Matteo Messina Denaro. Il capomafia di Castelvetrano si faceva vivo per risolvere la questione di un terreno un tempo appartenuto a Totò Rina.
C’era anche questo retroscena nel blitz del giugno 2020 della squadra mobile trapanese, oggi sfociato nelle condanne decise dal giudice per l’udienza preliminare Rosario Di Gioia. Per mafia ed estorsione sono stati inflitti 9 anni di carcere a Marco Manzo e 6 anni e 8 mesi a Giuseppe Calcagno. Pene già ridotte di un terzo come previsto dal rito.
Per favoreggiamento nei confronti del boss Vito Gondola sono stati condannati Antonino Adamo (2 anni e 4 mesi), Gaspare Genna (2 anni), Vito Genna (2 anni e 4 mesi), Pietro Salvatore Zerilli (2 anni). L’unico assolto è Antonino Italiano, difeso dagli avvocati Massimiliano Miceli e Daniela Noto.
I nomi di Manzo e Calcagno erano saltati fuori quando fu arrestato Vito Gondola, l’anziano boss di Campobello di Mazara, deceduto quattro anni fa. L’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Giovanni Antoci e Gianluca De Leo svelò che Calcagno avrebbe fatto parte della rete di postini del latitante, mentre Manzo si sarebbe occupato dei collegamenti fra mandamenti mafiosi.
In un pizzino del 2015 Matteo Messina Denaro si fece vivo per convincere i proprietari ed eredi a vendere un terreno che dalle mani di Totò Riina (circostanza non gradita dal capomafia trapanese) era passato al boss di Campobello di Mazara, Alfonso Passanante. Da qui la contestazione di tentata estorsione per il latitante.
Le direttive giungevano in aperta campagna, tra Mazara del Vallo e Salemi. Una vecchia masseria in contrada Lippone è stata la stazione di posta del lattante. Fino al marzo 2010 il sistema di trasmissione della corrispondenza era stato gestito dai cognati del latitante, Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, e dal fratello Salvatore. Sono stati tutti arrestati nel 2011. Poi nel 2015 toccò a Gondola, nome storico della mafia trapanese.
C’era pure lui nella cena organizzata nel dicembre del 1991 a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon nella casa di Tonnarella dove dimorava Totò Riina. Fu lì che il capo dei capi decise di sterminare i nemici della mafia marsalese.
fonte livesicilia.it