Esperienza con il 118, l’operatore che chiude il telefono, l’ambulanza che per fare un chilometro impiega 45 minuti
In questi anni di emergenza pandemica spesso e a ragione abbiamo scritto del grande lavoro, talvolta non adeguatamente considerato, degli operatori sanitari, da quelli dentro gli ospedali a quelli delle ambulanze. E’ vero che per tanti di loro si è trattato di continuare a lavorare con i problemi di sempre, con quei disservizi delle strutture che già esistevano prima della pandemia e che il Covid 19 ha fatto aggravare. E per questa ragione siamo stati tra quelli che hanno deciso di scrivere degli sforzi di medici, infermieri e sanitari in genere, che in questi anni hanno anche lavorato di continuo senza guardare ad orari di lavoro e turni vari. Ma poi ti capita nello stesso momento e per la stessa circostanza di trovarti testimone di quello che mai dovrebbe accadere. Quella che raccontiamo è una vicenda accaduta a Trapani qualche settimana addietro: d’improvviso un’anziana, che qualche giorno prima si è ritrovata colpita dal virus, assieme alla propria badante, sta male, non respira più. I parenti non possono accedere nell’appartamento, chiedono l’intervento del 118, avvertendo che si tratta di paziente affetta da Covid. L’ambulanza del 118 deve percorrere poco più di un chilometro per arrivare. E’ tarda sera, per strada non c’è traffico, eppure per percorrere quel tratto di strada, partenza “Cittadella della Salute”, per arrivare nei pressi di corso Mattarella, l’ambulanza impiegherà circa 45 minuti, tanto tempo è trascorso dalla prima chiamata al 118 all’arrivo nell’abitazione dell’anziana. Nel frattempo i familiari preoccupati e in ansia per via dei soccorsi che ritardano, richiamano il 118: la telefonata, come la precedente, rimbalza da Trapani a Palermo, perché il 118 funziona così, e l’operatore che risponde , dopo una attesa non breve, ti chiede per identificarti a momenti anche il tuo codice fiscale mentre lui non si presenta, nessun nome, nessun numero di riconoscimento, anonimato completo. Risponde anche seccato dicendoti che il personale impiega tempo perché deve prepararsi con i dispositivi di protezione, e qui è la prima cosa che non ti torna. Se si tratta di personale in servizio per l’emergenza, non dovrebbe già essere pronto all’emergenza? I dispositivi di protezione sono guanti, mascherina , la visiera, e il camice addosso, almeno così si presenteranno all’arrivo, immaginiamo che per indossarli non ci voglia così tanto tempo, eppure tanto tempo è trascorso. Le condizioni della donna erano già gravi per altre patologie e la causa del decesso non è stato il trascorrere del tempo di attesa dell’ambulanza, ma ugualmente ci chiediamo come è stato possibile dovere attendere 45 minuti per l’arrivo del mezzo di soccorso. E la cosa che poi è anomala è che quando chiedi ad un operatore di sapere a che ora il 118 ha dato l’allarme, ti senti rispondere che l’orario sul foglio non è stato segnato. Ed allora pensi a quell’operatore che ti ha risposto al 118, quello seccato, sgarbato che alla richiesta di informazioni ti ha chiuso il telefono mentre stavi ancora rappresentando l’emergenza, e quando lo richiami chiedendo di sapere con chi ha parlato, ti ammonisce dicendo che stai occupando una linea telefonica di emergenza, e ti chiama con nome e cognome come a voler dire che ti ha riconosciuto e potresti avere guai, mentre lui al telefono non si fa nemmeno riconoscere. Ecco questa è la sanità con la quale nessuno dovrebbe avere a che fare e però questo è accaduto. Vorremmo dal 118 delle risposte e vorremmo anche che arrivassero le scuse ai protagonisti di questa storia, quanto meno anche per rendere loro meno doloroso e amaro il fatto di aver subito la perdita di un familiare. Vorremmo che quanto accaduto serva a trovare rimedi, perché l’emergenza venga trattata sempre come emergenza, e non ordinario fallimento.