Rivolta al carcere di Melfi, arresti in Sicilia

Tra gli arrestati l’alcamese Vincenzo Campo, il “commendatore” della famiglia mafiosa

La polizia di Potenza ha eseguito un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di 29, tutte indiziate di aver preso parte alla rivolta che si è consumata il 9 marzo del 2020 presso la casa circondariale di Melfi, nel più ampio contesto dei moti di protesta contro le misure restrittive imposte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per il contenimento del Covid-19. Durante la sommossa personale sanitario e diversi agenti della polizia penitenziaria, in servizio presso l’istituto melfitano, rimasero sequestrati per circa nove ore.

Nell’ambito del procedimento, l’ordinanza cautelare era stata già eseguita nel mese di settembre dello scorso anno nei confronti di altri undici detenuti che non avevano proposto ricorso per Cassazione ; l’ulteriore esecuzione ha avuto luogo dopo i rigetti delle dichiarazioni di inammissibilità, da parte della Suprema Corte di Cassazione, delle impugnazioni proposte. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza, attraverso la ricostruzione di tutte le fasi della protesta, hanno permesso di risalire all’identità di tutti i detenuti di cui, ferma restando la presunzione di non colpevolezza, allo stato, si ipotizza il coinvolgimento a vario titolo nella sommossa, durante la quale personale sanitario e diversi agenti della Polizia penitenziaria, in servizio presso l’istituto melfitano, rimasero sequestrati per circa nove ore.

Grazie all’immediato intervento delle Autorità di Pubblica Sicurezza e al dispositivo delle Forze dell’ordine, nonché all’impegno della Polizia Penitenziaria di Melfi, fu possibile arrivare alla liberazione degli ostaggi riconducendo i facinorosi nelle camere detentive, dopo una lunga trattativa durante la quale i fautori della sommossa avevano anche steso un documento di richieste e rivendicazioni. La presenza sul posto di personale specializzato in indagini antimafia della Polizia di Stato, ha permesso, insieme alla Polizia Penitenziaria del carcere di Melfi, di arrivare già nel corso della notte all’acquisizione di una serie di elementi indiziari che, dopo ulteriori approfondimenti investigativi, hanno portato la Direzione Distrettuale Antimafia a contestare i reati di sequestro di persona a scopo di coazione e di devastazione, per i quali è già stata formulata richiesta di rinvio a giudizio dinnanzi al Giudice dell’udienza preliminare di Potenza.

L’esecuzione ha avuto luogo nelle province di Potenza, Bari, Crotone, Reggio Calabria, Napoli, Perugia, Livorno, L’Aquila, Oristano, Cuneo, Catanzaro, Agrigento, Palermo, Udine, Siracusa e Catania. L’operazione è stata condotta dalla Squadra Mobile di Potenza, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato ed il supporto e la collaborazione dei Reparti della Polizia Penitenziaria.

Tra gli arrestati c’è l’alcamese Vincenzo Campo, classe ’68, il cui nome è legato all’operazione antimafia “Crimiso” conseguente ad una indagine della Squadra Mobile di Trapani coordinata dalla procura distrettuale di Palermo e che nel giugno 2012 portò all’arresto di dodici persone. Campo fu uno di questi, nella cosca era soprannominato “commendatore”, di professione “procacciatore d’affari”, destinatario poco tempo dopo l’arresto di una confisca di beni per oltre 800 mila euro e finì anche sotto inchiesta da parte della Guardia di Finanza per bancarotta fraudolenta e altri reati finanziari. L’arresto per l’operazione “Crimiso” lo ha portato ad una condanna a sette anni e otto mesi. Per i reati finanziari ha avuto inflitti quattro anni. Campo era la longa manus del nuovo capo della cosca mafiosa di Alcamo, Nino Bonura, che, sebbene sottoposto all’obbligo di dimora a Cinisello Balsamo, si era intestato la riorganizzazione delle famiglie mafiose di Alcamo e Castellammare del Golfo. Campo era un vero e proprio faccendiere al servizio di Cosa nostra, a lui la Squadra Mobile prima e la Guardia di Finanza dopo, hanno ricondotto un vero e proprio sistema di malaffare, attraverso la creazione di numerose società “fantasma”. Le imprese, tutte intestate a prestanomi, avevano il compito di acquistare delle merci di svariato genere dichiarando successivamente il fallimento dell’impresa e l’impossibilità di pagare i fornitori. La merce acquistata veniva successivamente venduta e rimessa nel mercato a prezzi ridotti generando dei guadagni illeciti per le società. Tra le merci acquistate dalle società si riscontrano condizionatori, notebook, pc, trattori e altra merce di vario genere. Il tutto si svolgeva senza presentare mai dichiarazioni fiscali eludendo, in questa maniera, sia i fornitori che il fisco. Introiti in nero che sarebbero stati utilizzati per riempire la cassaforte mafiosa alcamese. L’ impresa, dalla quale sono partite le indagini, è la società “Centro distribuzione merci alcamesi”. Tra i beni che furono sottoposti a sequestro vi furono alcune ville, immobili, auto di lusso, imbarcazioni, quote societarie e un locale nei pressi di Partinico.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.