Nessun reato è stato commesso dal deus ex machina della formazione, Paolo Genco
Tutti assolti con la formula perché il fatto non sussiste. Lo scandalo Anfe svanisce per la decisione odierna del Tribunale di Trapani presieduto da Massimo Corleo. Cadono le accuse per Paolo Genco, presidente dell’Anfe, e per gli altri imputati, Paola Tiziana Monachella, responsabile dell’Anfe di Castelvetrano, Aloisia Miceli (direttore amministrativo dell’ente), Rosario Di Francesco (direttore della Logistica della delegazione regionale Sicilia Anfe), e per l’imprenditore Baldassare Di Giovanni.
Genco cinque anni fa fu arrestato nell’ambito dell’operazione “Dirty Training”, tradotto, “formazione sporca”, e trascorse tre mesi agli arresti domiciliari. Secondo l’indagine della finanza, coordinate dalla Procura di Trapani, l’imputato avrebbe sfruttato una sfilza di fatture false per dimostrare di avere affrontato spese mai sostenute. Il reato contestato in generale è quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, i sei indagati rispondono del reato di concorso nell’indebita percezione di erogazioni pubbliche. Fra il 2010 e il 2013 l’Anfe avrebbe ottenuto finanziamenti, pari a 53 milioni, non dovuti dall’Unione europea e dalla Regione. L’ente di formazione, travolto dall’inchiesta, è fallito. Centinaio di persone hanno perso il lavoro. Ottanta dipendenti si erano costituiti parte civile. Secondo l’accusa Genco, avrebbe speso i soldi pubblici destinati all’Anfe per fini privati e cioè per comprare gli immobili intestati in parte a una società immobiliare, La Fortezza, e in parte a una dipendente del’Anfe. Genco ci avrebbe guadagnato due volte perché gli stessi immobili venivano pure dati in affitto all’Anfe per ospitare i corsi di Formazione. Gli immobili, per ua valore di 2 milioni di euro, sono stati ora tutti dissequestrati dal Tribunale con la con testuale assoluzione. Per l’indagine giudiziaria l’Anfe, uno dei colossi della formazione professionale siciliana, si è accartocciato su se stesso per la revoca degli accreditamenti da parte della Regione. L’indagine che ha visto finire ai domiciliari il potentissimo “re” della formazione professionale siciliana, presidente nazionale e regionale dell’Anfe Paolo Genco, e l’imprenditore Baldassare Di Giovanni, scattò nel 2015 a Catania, dopo un esposto di un paio di corsisti che denunciarono il fatto di non avere ricevuto l’indennità di frequenza e di essere stati utilizzati in pratica come lavoratori in nero in un fantomatico stage presso il gruppo commerciale Aligroup. Dovevano prestare attività lavorativa come banconisti per un paio di ore, si ritrovarono invece a dovere rispettare in pieno l’orario di lavoro previsto per i dipendenti assunti. Da Catania l’indagine arrivò dapprima alla Procura di Enna perché i corsi finiti sotto inchiesta si erano svolti in questa città, e poi le carte arrivarono a Trapani giacché la “cassa” dell’Anfe era gestita presso una banca trapanese. Paolo Genco iniziò la sua carriera nella formazione nel 1979, giovanissimo c’è chi lo ricorda frequentare gli uffici dell’assessorato regionale al Lavoro, quando aveva da gestire un corso di formazione che aveva appena avuto finanziato a Castelvetrano, la sua seconda città dopo quella nativa di Salemi. Si muoveva già allora tra i potenti della politica regionale. Nel 2016 si ritrovò all’attivo migliaia di corsi per la formazione professionale gestiti in Sicilia e non solo in Sicilia. Dell’Anfe fu presidente regionale in Sicilia da sempre, dal 2010 divenne presidente nazionale. Capace frequentatore dei palazzi della politica, ci sono fotografie che lo ritraggono con Berlusconi e Fini, con Papa Ratzinger, legato agli ex Governatori Cuffaro e Lombardo, buone relazioni con Forza Italia, Udc e Ncd. L’Anfe è stato un colosso della formazione, 700 dipendenti, dai primi anni del 2000 il volume d’affari è stato di circa 20 milioni all’anno di finanziamenti. Potente più dei potenti, capace di stoppare il presidente Crocetta che voleva tagliare fuori l’Anfe dalla distribuzione dei fondi per la formazione. Crocetta si è visto minacciare una crisi di Governo mentre Paolo Genco diventava presidente di “Forma Sicilia”, nato sulle ceneri di altri enti di formazione, e a Crocetta non è rimasto altro che sussurrare di lui come del nuovo “padrone della formazione in Sicilia”, capace di sopravvivere dopo i primi scandali. Intanto Genco è imputato in un altro processo, quello scaturito dal blitz dei Carabinieri denominato “Artemisia”: negli affari tra politica e massoneria segreta secondo le accuse è coinvolto anche lui, in particolare per i rapporti con il principale imputato di questo processo, l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto. Nel processo Artemisia Genco è accusato di corruzione.
Le dichiarazioni degli avvocati della difesa.
“Oggi abbiamo ottenuto una grande soddisfazione professionale, ma nessuno potrà mai ripagare gli imputati per il fallimento della società dovuta proprio a questa indagine, per il licenziamento di centinaia di lavoratori, per il sequestro del patrimonio personale solo oggi restituito ai legittimi proprietari. “Una lunga e faticosa battaglia processuale che alla fine ci dà pienamente ragione restituisce al dottore Genco la sua onorabilità”. E’ il commento dell’avvocato Massimo Motisi legale di Paolo Genco. “Esprimo soddisfazione per questa sentenza assolutoria che riconosce a tutti li imputati e, alla fine di un lungo processo, giustizia” sottolinea l’avvocato Roberto Mangano, legale di Aloisia Miceli.
Il difensore di Rosario Di Francesco, avv. Luciano Fiore ha dichiarato: “Poco più di 40 udienze e 5 anni per sancire ciò che, per quanto riguarda il mio assistito, era chiaro sin dall’inizio delle indagini. Nessuno potrà mai risarcire il sig. Di Francesco e la sua famiglia per le sofferenze patite in questi anni. Le cicatrici rimarranno, ma almeno giustizia è stata fatta”.