Caltanissetta: il Gip Luparello respinge la richiesta di archiviazione. Indicate alla Procura nissena ulteriore attività istruttoria
di Aaron Pettinari
Cosa nostra era da sola a pianificare ed attuare le stragi? Ci sono stati concorrenti esterni che con essa hanno posto in essere il delitto? O addirittura si può pensare che la mafia abbia agito anche su input di altri?
In questi trent’anni anni la ricerca della verità sui mandanti esterni sulle stragi del 1992 ha vissuto vari momenti, tra indagini aperte ed archiviate.
Ora un nuovo capitolo.
Lo scorso 28 marzo la Procura di Caltanissetta aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine contro ignoti, pur non opponendosi all’eventuale investigazione suppletiva, “essendo intervenuta la scadenza dei termini delle indagini preliminari”.
Nei giorni scorsi (il 18 maggio) il gip del tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello ha respinto la richiesta sollecitando una nuova attività istruttoria, da completare nell’arco di 6 mesi, tra acquisizioni di documenti e interrogatori, “procedendo se necessario a nuove iscrizioni nel registro degli indagati”.
La richiesta di archiviazione muove dal presupposto che i mandanti esterni non vi siano nel momento in cui “un’entità forte come Cosa nostra, illo tempore rappresentata, a livello superprovinciale, dal noto boss Totò Riina, mai avrebbe accettato l’assolvimento di compiti di mera esecuzione di deliberazioni criminose assunte da soggetti terzi”.
Inoltre, secondo i pm, anche rispetto “alla possibilità che personaggi estranei all’organigramma mafioso, eventualmente appartenenti ad istituzioni deviate, potessero avere dato il proprio contributo alla realizzazione (ideazione, esecuzione, organizzazione?) della strage” dalle attività investigative compiute non sono emersi “specifici elementi indiziari nei riguardi di soggetti concretamente identificabili”.
Eppure secondo la giudice le indagini sulla strage di via d’Amelio “non possono ritenersi complete” perché “non risultano avere esplorato e approfondito dei temi investigativi di particolare interesse, alcuni dei quali già noti al momento della formulazione della richiesta di archiviazione, altri sopravvenuti e divenuti ‘fatti notori’”.
Secondo la Luparello è necessario allargare anche l’orizzonte per una “sorta di osservazione criminologica dei principali fenomeni stragistico-terroristici avvenuti sul territorio nazionale, al fine di analizzarne gli specifici tratti caratteristici, valutarli in chiave comparativa, estrapolarne – ove esistenti – i tratti comuni e inferirne – se ne esistono le condizioni – la sussumibilità in un modello stragistico-terroristico comune”.
Dunque sono stati predisposti accertamenti di ampio respiro che dovranno approfondire, in particolare, il tema della “interazione tra associazioni mafiose, destra eversiva, servizi segreti e massoneria”, come emerge ormai da diversi atti processuali.
Basta rileggere le motivazioni della sentenza Cavallini, per la strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980) o di quello calabrese, che ha visto l’impegno della Procura di Reggio Calabria, anche noto come “‘Ndrangheta stragista”. Un dibattimento, quest’ultimo, in corso davanti alla Corte d’assise d’appello a Reggio Calabria.
Ma l’analisi dei fatti della storia attraversa anche altri delitti eccellenti.
Secondo la giudice nell’ambito di questo “mutuo soccorso stipulato tra mafia ed eversione di estrema destra” si colloca, anzitutto, l’omicidio del 6 gennaio 1980 a Palermo del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, “che aveva assunto un atteggiamento intransigente rispetto al fenomeno delle collusioni tra mafia e imprenditoria in materia di appalti pubblici” e che correva per la vicepresidenza nazionale del Partito. Un delitto che ha visto la condanna dei mandanti mafiosi mentre dell’esecuzione dell’omicidio vennero imputati “e poi assolti con motivazione discutibile”, evidenzia il gip, alcuni esponenti della estrema destra eversiva appartenenti ai Nar.
Della compenetrazione tra pista nera e pista mafiosa aveva parlato già Giovanni Falcone il 3 novembre del 1988 davanti alla Commissione parlamentare Antimafia, audizione desecretata addirittura solo nel 2019.
Parlando di certi delitti, diceva Falcone che erano di “matrice mafiosa (…) Ma il movente (…) non è sicuramente mafioso e comunque non è esclusivamente mafioso (…) Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva (…). E’ quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura ‘la pista nera’ sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”.
Secondo la Gip “nell’ambito di tale lettura coordinata dei diversi delitti eccellenti degli anni ’80-’90, vi sono elementi che, in relazione alle stragi del ’92, impongono di non resecare a priori la possibile rilevanza della pista ‘nera’”.
Un punto di congiunzione è dato dalla figura di Paolo Bellini, esponente dell’estrema destra eversiva, tra le fila di “Avanguardia Nazionale”, condannato in primo grado per la strage di Bologna. Bellini venne indicato quale infiltrato nel biglietto di addio lasciato dal mafioso Antonino Gioè. Quest’ultimo era coinvolto nella strage di Capaci e morto suicida in carcere (con modalità che il gip definisce “strane”, perché avvenuto nei 20 minuti in cui all’agente preposto alla sorveglianza fu ordinato di allontanarsi).
Tornando a Bellini, che fu coinvolto in quella che è stata definita come “seconda trattativa” o “trattativa delle opere d’arte” (parallela a quella che vide il Ros di Mori avviare un dialogo con l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino).
Bellini si era messo in contatto con il maresciallo Tempesta dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio facendogli una proposta: infiltrarsi in Cosa nostra sfruttando la già avviata interlocuzione sulle opere d’arte rubate.
Secondo la Gip “ci si deve interrogare se Bellini avesse agito, come da lui sostenuto, solo ed esclusivamente nell’interesse dello Stato, per assicurare il recupero delle opere d’arte”.
Altro aspetto da valorizzare è “l’accertata partecipazione di Pietro Rampulla, appartenente al clan Santapola e neonazista di Ordine Nuovo, capeggiato da Pierluigi Concutelli, alla strage di Capaci nella veste di artificiere”.
E ancora: “Intersecando gli elementi offerti dalla sentenza di condanna di Bruno Contrada (già capo della Mobile di Palermo e alto funzionario del Sisde, ndr) con quelli che emergono dalla sentenza sull’omicidio dell’agente Antonino Agostino (1989) si sostanzia la tesi che per un dato periodo storico, la Questura di Palermo e il Sisde potrebbero aver allevato, al loro interno, un nucleo operativo trasversale occulto, che potrebbe avere avuto un ruolo importante sia nella morte di Agostino e del poliziotto Emanuele Piazza (1990) sia nelle stragi di Capaci e via D’Amelio”.
Ma c’è altro su cui la procura di Caltanissetta dovrebbe lavorare e cioè la questione, di cui ha parlato in una intervista l’avvocato Fabio Repici, parte civile per conto della famiglia Borsellino, relativa a una intercettazione di una conversazione avvenuta tra poliziotti della ‘squadra Contrada’, da cui si ricaverebbe che Concutelli (che uccise a Roma nel 1976 il giudice Vittorio Occorsio che indagava sull’eversione di estrema destra) si addestrava al tiro in un poligono frequentato anche da poliziotti e mafiosi.
E Nino Agostino era diventato “il testimone scomodo della contiguità di alti funzionari della polizia e dei servizi sicurezza con i mafiosi del mandamento di Resuttana, cioè quello di Nino Madonia, il suo killer”.
Dunque “sulla base di numerosi elementi così rappresentati, paiono profilarsi nuovi scenari investigativi, dovendosi approfondire due possibili fattori concausali della stagione stragista: A) pista ‘istituzionale’, imperniata intorno al concorso nelle stragi di personaggi delle istituzioni deviate, eventualmente organizzati in organismi paramilitari (es. Gladio), come sembrerebbe emergere, rispetto alla parallela realtà calabrese, nel processo d’appello – in corso di svolgimento a Reggio Calabria – sulla ‘Ndrangheta stragista. B) la pista ‘nera’, imperniata su possibile collusioni tra mafia siciliana ed esponenti di destra eversiva”.
Ultimo livello investigativo “da sondare”, secondo il gip, è quello relativo alla eventuale presenza, nella filiera stragista, “di un anello, di carattere politico, individuabile in un personaggio o in un partito politico che potrebbe aver concorso a definire la strategia della tensione, allo scopo di legarsi, in un reciproco ‘do ut des’, a Cosa Nostra e attingere al bacino elettorale che, debitamente orientato dalla organizzazione mafiosa, era appartenuto a quella Dc con cui Totò Riina aveva chiuso ogni finestra di dialogo”. Così sono state ricordate le parole del collaboratore di giustizia Totò Cancemi che, nel Borsellino-ter, ricordava che Riina dopo Capaci aveva ribadito la propria determinazione nell’uccidere anche Paolo Borsellino, ponendo l’accento nell’occasione, sulla necessità di appoggiare da quel momento in poi gli onorevoli Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Parole confermate dal pentito Giovanni Brusca. Su questi punti l’approfondimento passa anche dalle dichiarazioni del boss stragista Giuseppe Graviano sia nel processo ‘Ndrangheta stragista che le intercettazioni del 2016 in carcere in cui il boss di Brancaccio, riferiva al compagno d’ora d’aria Umberto Adinolfi che “Berlusca” gli avesse chiesto una “cortesia”.
Tra gli approfondimenti richiesti anche quelle riguardanti le cointeressenze economiche che la famiglia Graviano, in base a quanto detto dal capomafia, avrebbe poi avuto con il futuro premier.
Alla luce di tutto ciò, conclude il Gip “l’indagine sui complici esterni nel compimento della strage di via d’Amelio non può, allo stato, confluire in un provvedimento di archiviazione, dovendosi esperire appositi accertamenti volti a tentare di chiarire alcuni aspetti dei fatti, sopra segnalati, avvolti da una certa nebulosità, se non da una marcata opacità”.
* fonte antimafiaduemila