Dalla Chiesa, quaranta anni dopo: intervista al figlio, Nando
Quarant’anni dopo, l’omcidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa si erge – tra tutti quelli cosiddetti “eccellenti” della storia della mafia – come il più rilevante e il più chiaro. Ne è convinto Nando Dalla Chiesa, pronto a partire da Milano per raggiungere Palermo e partecipare alle celebrazioni, e ha cambiato l’Italia, oggi con una “memoria civile più forte”.
“Credo – dice in questa lunga intervista all’AGI – che dal punto di vista storico sia tutto chiaro già da un pezzo. E d’altra parte corrisponde a quanto io scrissi in ‘Delitto imperfetto’ del 1984, non perché fossi particolarmente bravo ma perché il dolore mi spinse a dire ciò che altri negavano e cioè che si era trattato di un omicidio avvenuto davanti a tutti. Ricordo anche il titolo del Manifesto: ‘Cronaca di una morte annunciata’”.
Imperfetto perché i responsabili erano facilmente identificabili. “Le rivelo – aggiunge – una cosa che non ho mai detto: parlai di delitto imperfetto perché volevo rispondere ad Andreotti che amava essere caustico sulla morte di mio padre e nella sua rubrica sull’Europeo intitolata ‘Il taccuino’ aveva scritto un articolo, ‘Meridiani e paralleli’, sostenendo la tesi del delitto perfetto, cioè senza esecutori né mandanti. Invece gli esecutori furono individuati quando uno di loro fu arrestato per un’altra vicenda, incolpò se stesso e fece i nomi di tutti gli altri. Quanto ai mandanti, i magistrati hanno indicato precise strade da battere, ma dal punto di vista penale oltre una certa soglia non si è riusciti ad andare. Cosa comunque c’è da sapere dopo che Scarpinato è andato a dire alla Commissione nazionale antimafia che la telefonata del via libera era partita da un numero del Parlamento?”.
Quindi non vede zone d’ombra? “No, non ci sono zone d’ombra, perché quello è che è avvenuto è chiarissimo. Basta volerlo vedere. Hanno cercato di rendere meno chiaro il quadro ricorrendo anche alle carte di Moro, che però sono state un’invenzione del sottobosco politico informativo. Si figuri che venni subito avvertito che sarebbe stata adottata questa strategia”.
Quali sono oggi i suoi sentimenti? “Sono fortunato, se penso che più del 70 per cento dei familiari di vittime della mafia non sa chi sono stati gli assassini. Io sì, ma sono stato fortunato perché ho trovato magistrati che poi ci hanno rimesso la vita per conoscere la verità su mio padre”.
Senza il sacrificio di suo padre, Nando Dalla Chiesa avrebbe comunque fatto politica? O si sarebbe dedicato alla sola attività accademica? “Guardi – risponde all’AGI – che avevo già cominciato a impegnarmi contro la mafia già dal 1973 partecipando a un movimento e scrivendo su una rivista chiamata ‘Città e campagna’, una delle poche del tempo. Ma non le so dire cosa avrei fatto se mio padre fosse vissuto. Sicuramente mi avrebbe aiutato e avrei avuto forse una carriera più facile. Quel che posso dire è che ho pagato tutto quello che ho detto e scritto. Ancora oggi sono circondato dalla diffidenza, sebbene abbia dato certamente prove di serietà e di affidabilità istituzionale. Del resto non sono mai stato legato alla funzione parlamentare, perché l’università mi gratifica di più e ha dato un senso alla parte finale della mia vita”.
Qual è stato dei quattro il decennio che ha espresso il maggiore interesse, cioè la migliore coscienza popolare, sulla morte di suo padre? “Questo, decisamente. Può sembrare paradossale, ma si tratta di un fenomeno interessantissimo dal punto di vista culturale. Insomma, dovrebbe sfumare la memoria e col tempo l’oblio avere la meglio e invece è la prima volta in quarant’anni che ho tanti appuntamenti celebrativi, al punto che io e le mie sorelle Rita e Simona non riusciamo ad andare dappertutto”.
Forse perché il quarantennale è a cifra tonda. “Ma c’è stato il trentennale, il ventennale, il decennale, il secondo anniversario, però mai è stato così”.
A cosa attribuisce allora questo atteggiamento collettivo? “L’avevo notato per Falcone e Borsellino. E mi dicevo che l’attenzione, come pure l’affetto, cresce via via che ci si allontana dall’accaduto perché, nonostante quello che possiamo legittimamente dire del Paese, l’Italia è cambiata. C’è una memoria civile più forte che inizia a essere coltivata già dalla scuola. Un ruolo, quello della scuola, che viene sempre criticato, mentre io ho visto quanto essa fa sul fronte dell’impegno civile e quanti insegnanti vi si dedicano con tutte le forze”.
Nella prefazione al libro di Stefania Pellegrini ‘L’impresa grigia’ Nando Dalla Chiesa riprende un teorema che fu alla base dell’iniziativa del generale, quello secondo cui è infondata la supposizione che Cosa nostra istruisca colletti bianchi dentro i propri ranghi perlopiù familiari, giacché si serve di tecnici e professionisti reclutati nella società civile, a conferma della tesi decisiva secondo cui l’associazione mafiosa è ben più vasta della sola Cosa Nostra. “Io – spiega – faccio la distinzione tra società mafiosa e società filomafiosa. Nella società italiana che prima, non essendo stata interessata direttamente dalla mafia, non si sapeva da che parte stesse, si sono prodotte due dinamiche: una è quella dell’impegno diffuso contro la mafia e l’altro di una disponibilità a farci affari insieme. Ed è come se si fosse aperto un conflitto interno alla società, per cui molto più di prima si è pronti a entrare in collisione con la mafia e molto più di prima si è disponibili a entrare in collusione con essa”.
Non è contraddittorio? “Può sembrarlo, ma è successo che la società si è divisa in due e la zona grigia (che comprende quelli che non sapevano, che non capivano per inconsapevolezza) è andata in gran parte a ingrandire la sensibilità antimafiosa. Quando in un movimento attivo a Torino cominciai a occuparmi di mafia non c’erano in giro testi, non c’era letteratura, né saggi se non magari apologetici, e avevamo difficoltà persino a organizzare i cineforum. Oggi non è più così”.
Della zona grigia di cui parla fanno parte le impese che chiama bianche e nere, legate in un rapporto di familiarità fino a ieri imprevedibile. Sono parole sue. Ma quale prevale sull’altra? “In questo momento è evidente uno stato di difficoltà dell’economia. Anche la carenza di capitali diventa perciò un’alleata delle imprese mafiose. Il nostro problema è intanto di prendere atto che esiste questa realtà e poi di adottare le misure necessarie, com’è quella di non fare entrare le imprese nere nei lavori pubblici, ripetendo per esempio l’esperienza di Expo 2015″.
Giovanni Falcone affermava, in modo imperativo, che bisogna seguire il denaro. Vale ancora questo teorema? “A volte – osserva Nando Dalla Chiesa – non si tratta di seguire i capitali ma di costruire l’albero genealogico, quindi di seguire gli insediamenti territoriali, stabilire le proprietà, capire chi sono gli alleati in politica. Tutti quelli che ricordano Falcone e il suo principio del denaro da seguire poi dimenticano che quel metodo valse nella sola inchiesta Spatola, quando l’iter investigativo si è affermato, ma in seguito tutto ciò che Falcone ha pensato non è che si sia affermato. Non abbiamo oggi la Procura nazionale antimafia che sognava Falcone o il senso delle istituzioni che chiedeva lui, o magari la riservatezza che voleva”.
Ma allora dove lo vede il miglioramento delle cose? “I magistrati non guardano più al loro interno quanti si occupano di mafia come fossero mosche bianche, le sentenze non sono più per insufficienza di prove, anche se ogni tanto capita, abbiamo avuto beni confiscati alla mafia e la gente ne parla, come anche la televisione…”.
Ma la mafia è più o meno forte del tempo in cui agì suo padre? “Meno forte, non ho dubbi. La ‘ndrangheta ha beneficiato della mancanza di fari puntati contro ma comincia oggi ad avere problemi anch’essa al Nord mentre prima si muoveva come in un prateria dove poteva fare quello che voleva”.
Nando Dalla Chiesa celebra il quarantennale con una certa fiducia nel domani o ancora con un certo pessimismo? “Ho il senso delle difficoltà da affrontare – conclude – e non dimentico quando il sindaco di Palermo rimproverava mio padre dicendogli di non aver visto la mafia in Comune. Insomma sono cambiate molte cose, ma molte altre sono ancora da cambiare”.
Come giudica il rinvio della fiction Rai su suo padre dopo la candidatura alle Politiche di sua sorella? “Credo che sarebbe bastato dirle nelle conferenze stampa: “Signora la fiction la rimandiamo per opportunità”. Ma mandarla in onda venti giorni dopo, un mese dopo, cambia dopotutto poco”.
Beh, salta l’anniversario. “La Rai ricorderà mio padre comunque in altro modo”.
E come vede la candidatura di sua sorella in Forza Italia? “Non può farmi questa domanda. Io e Rita siamo da sempre un’unica pietra di granito e continueremo a esserlo”.
* fonte AGI