Il tramonto di Matteo Messina Denaro. “Indagini nel trapanese sui fiancheggiatori”

Il superlatitante arrestato ieri mattina alla Clinica “La Maddalena” di Palermo era in cura da circa due anni. Le indagini adesso si concentrano sui fiancheggiatori: Perquisizioni e indagini nel trapanese. Si scava anche sulla sua falsa identità: codice fiscale e carta identità di Andrea Bonafede. Intanto la società civile applaude e ringrazia i Militari dell’Arma che rispondono: “Grazie a voi per il supporto”.

PALERMO. È una pagina nuova della lotta alla mafia. Cade sotto i colpi dello Stato l’ultimo “vecchio” padrino di Cosa Nostra. L’ultimo dei corleonesi. L’ultimo stragista ancora a piede libero. Una operazione brillante quella condotta dai Carabinieri del Ros, del Gis e della gruppo territoriale di Sicilia, sotto il Coordinamento della Procura della Repubblica di Palermo, ma con tanti contorni ancora da chiarire. Sono ancora tante le domande sulla latitanza della primula rossa di Castelvetrano. I vertici dell’Arma dei Carabinieri hanno risposto su alcuni temi ai cronisti durante la conferenza stampa di ieri, ma sono ancora tanti gli aspetti avvolti dal segreto delle indagini: dove ha passato gli ultimi anni di latitanza? Chi sono i sui fiancheggiatori più stretti? È stata la sua malattia che lo ha costretto a fare “un passo falso”? oppure ha “abbassato” volutamente l’attenzione per farsi catturare? Tante suggestioni, tante ipotesi, ancora poche certezze. Ad oggi però i fatti dicono una cosa sola: la primula rossa di Cosa nostra trapanese, la “testa dell’acqua”, Diabolik, “U siccu”, sono solo alcuni dei suoi soprannomi, è stato arrestato dopo 30 anni di latitanza.

Il blitz alla clinica “La Maddalena”

Durante la conferenza stampa di ieri, i vertici dell’Arma hanno delineato i contorni dell’indagine che ha permesso di assicurare “u siccu” alla giustizia. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido, anche loro presenti nella sala conferenze della Caserma “Carlo Alberto Dalla Chiesa” di Corso Vittorio Emanuele a Palermo, sede della Legione dei Carabinieri di Sicilia.

Il dispositivo predisposto si è articolato su tre livelli: la territoriale si è occupata di cinturare la parte esterna della struttura sanitaria, il personale del Ros nella zona intermedia al fianco ai militati del Gis che sono entrati per individuare e bloccare Messina Denaro. Quest’ultimo non ha opposto nessuna resistenza e non ha tentato la fuga, si è subito arresto dichiarando la sua vera identità. “È stato un lavoro corale che ci ha permesso gradualmente di arrivare progressivamente all’obiettivo, mediante l’apporto di tutte le forze di Polizia che hanno lavorato incessantemente. È stato delineato un quadro informativo sui fiancheggiatori, sui familiari e sul latitante che ci permesso di arrivare a questo risultato.– ha spiegato il Generale dei Ros Pasquale Angelosanto  – Avevamo indicazioni, dagli elementi acquisiti, che il soggetto che corrispondeva a quel nome poteva essere il latitante, ma abbiamo avuto contezza di questo soltanto questa mattina (ieri, ndr). Era un’ipotesi, il riscontro vero lo abbiamo avuto soltanto quando siamo intervenuti”.

Ad arrestarlo, quindi, nella stradina adiacente la struttura sanitaria sono stati gli uomini del Gis e del Ros che lo hanno riconosciuto mentre si incamminava fuori dalla struttura. A raccontare i dettagli il Colonnello dei Carabinieri Lucio Arcidiacono: “Il latitante è stato bloccato in una stradina adiacente la struttura sanitaria insieme al suo complice. Si è subito presentato con il suo vero nome. Il suo volto in effetti è quello che ci aspettavamo di trovare. All’interno della struttura sicuramente non si è accorto della nostra presenza, ma una volta all’esterno probabilmente si è accorto di noi. Il nostro dispositivo, su più livelli, ha funzionato bene e ha permesso di bloccarlo.” Il latitante si era recato alla clinica “La Maddalena” per sottoporsi a un ciclo di chemioterapia. Negli ultimi due anni aveva già subito due interventi e diverse visite di controllo presso la struttura sanitaria palermitana, ma anche in altre strutture sanitaria in provincia di Trapani. Il pm che ha coordinato le indagini Paolo Guido descrive Matteo Messina Denaro come “un uomo in apparente buona salute, assolutamente ben curato e in linea con il profilo di un uomo di 60 anni”.

Sotto falso nome

Ci sono voluti trent’anni per individuarlo e arrestarlo. Alla fine si trovava esattamente dove doveva essere: a casa, così come i suoi predecessori. Per trent’anni è stato inavvicinabile, per questo lo chiamavano Diabolik. O ancora “il fantasma”. A “tradirlo”, se così si può dire, le sue condizioni di salute. Matteo Messina Denaro infatti faceva periodicamente controlli in quella clinica, da quanto si apprende, da circa due anni. Anche ieri mattina si era recato alla clinica “La Maddalena” per sottoporsi a una seduta di chemioterapia. Aveva già fatto il tampone e aspettava gli altri esami prima di sottoporsi alla chemio. Il boss mafioso era già stato operato nel 2021. Altre visite mediche sarebbero state effettuate all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo e in altre strutture sanitarie del territorio.

Ma in tutte queste circostanze si presentava come Andrea Bonafede, con tanto di documenti validi perfettamente in regola (che vi mostriamo nella foto). Nessuna responsabilità, quindi, da parte della clinica sanitaria. Ad essere registrato, sul database della clinica palermitana, ci sarebbe stato il paziente Andrea Bonafede, in realtà il pericoloso latitante Matteo Messina Denaro.

Secondo i documenti trovati e sequestrati dai Carabinieri, il boss sarebbe Andrea Bonafede, nato a Campobello di Mazara (Trapani) il 23 ottobre del 1963, alto 1,78, calvo e con gli occhi castani, segni particolari “nessuno”. La Carta di identità è stata rilasciata dal Comune di Campobello di Mazara l’8 febbraio 2016. Secondo i dati anagrafici sulla carta di identità di Matteo Messina Denaro, alias Andrea Bonafede, sarebbe residente nel piccolo centro trapanese, a pochi chilometri dalla “sua” Castelvetrano e di professione farebbe il geometra”.

Il fiancheggiatore arrestato insieme a Matteo Messina Denaro è Giovanni Luppino di Campobello di Mazara, viene definito dal procuratore Maurizio de Lucia “un perfetto sconosciuto”, quindi non sembrerebbe legato ad altri omonimi già indagati in passato come favoreggiatori della primula rossa di Castelvetrano. “L’indagine – ha sottolineato il Procuratore De Lucia – si è basata su due aspetti fondamentali: le intercettazioni, che sono uno strumento importantissimo, e su indagini tecnologiche sviluppate dai Ros dei Carabinieri.”

“Provenienza dall’area trapanese”

Adesso le indagini si stanno concentrando sul fronte dei fiancheggiatori e sui possibili covi in cui si sarebbe nascosto il latitante. Ieri infatti sono state eseguite perquisizioni a Campobello di Mazara e a Castelvetrano. Su questo aspetto c’è massimo riserbo da parte degli inquirenti, ma il Procuratore Maurizio De Lucia ha aggiunto che “la provenienza del latitante è sicuramente dall’area trapanese, ma altro non possiamo dire.”

Le indagini, quindi adesso si stanno focalizzando sulla zona del trapanese. In merito è intervenuto anche il colonnello Fabio Bottino, comandante provinciale dei carabinieri di Trapani. “La cattura di Matteo Messina Denaro è molto importante per l’intera collettività della provincia di Trapani, che per anni, troppi anni, ha dovuto convivere con questo alone negativo che in parte ne ha impedito il pieno sviluppo. Per questo ci auguriamo che questo arresto possa portare un futuro più roseo e libero. È un giorno importante per tutta la comunità trapanese”.

“Al polso orologio da 35 mila euro”

A rivelare questo dettaglio il Colonnello Arcidiacono, l’uomo che ha coordinato le operazioni e ha bloccato il latitante. “Ci siamo trovati davanti un uomo ben vestito, con abiti di lusso. – ha sottolineato il pm Paolo Guido – Da questo possiamo desumere che le sue condizioni economiche erano tutt’atro che difficili”. “Al polso – ha aggiunto il Colonnello Arcidiacono – aveva un orologio molto particolare, da quello che abbiamo visto il suo valore si aggira sui 30/35 mila euro”.

Di una cosa siamo certi: Matteo Messina Denaro fino a ieri mattina è stato un capo operativo  con una serie importanti di contatti economici. “La sua leadership però non è mai stata patrimonio esclusivo di Matteo Messina Denaro, per le regole interne a Cosa nostra. Ma rimane la sua notevole capacità di essere presente nel mondo degli affari, un ruolo di garanzia nel trattare gli affari, anche con organizzazioni criminali diverse da Cosa nostra” – ha sottolineato il Procuratore De Lucia.

Matteo Messina Denaro “il traghettatore”

Chi è Matteo Messina Denaro? Per molti rappresenta sicuramente un “traghettatore” della mafia siciliana. Da quella Cosa nostra stragista e sanguinaria di Totò Riina, a quella camaleontica e più dedita agli affari di Matteo Messina Denaro. Una boss sanguinario che ha lentamente abbandonato la strategia del terrore per preferire quella della “sommersione”. Affari e silenzio, paura e violenza solo se necessaria. Sono state decine le operazioni che in questi trent’anni hanno fatto terra bruciata intorno al latitante, tantissimi gli affari svelati dalle indagini delle forze dell’ordine. Un impero economico immenso negli anni colpito da sequestri e confische. Imperi costruiti con compiacenze importanti, colletti bianchi e professionisti. L’area grigia composta sempre più da professionisti e politici compiacenti, da massoni e fedelissimi prestanome. Cemento, supermercati, energie rinnovabili, scommesse, affari che ne hanno alimentato il mito. Un boss in stile Diabolik, raffigurato sempre con i Ray-Ban e i vestiti griffati che ha affascinato anche tanti giovani rampolli. Un mito che ha soffocato la cresciuta di una provincia, di una regione. Un pericoloso criminale sanguinario con decine di omicidi alle spalle. “Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero”, affermava lui stesso. Il padrino trapanese nella sua lunga carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli.

Nel 1992 fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo (all’epoca capo della famiglia mafiosa di Alcamo) e della sua compagna Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi: i due cadaveri furono poi seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo. Messina Denaro fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà. Coinvolto nelle stragi del 1992 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte. Nel 2020 è stato condannato all’ergastolo entrambe le stragi. Coinvolto anche nelle stragi del nord Italia, su tutte quella di Firenze. Condannato anche per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino.

“Iddu è arrivato alla stazione”

Già nel 2016 alcune intercettazioni avevano acceso la speranza di una possibile cattura del latitante. Era il 24 marzo 2016 e, come raccontato dal nostro giornale, una microspia istallata nell’auto di uno dei fermati in un blitz, gestore di un’agenzia di scommesse a Castelvetrano per conto di Calogero Jonn Luppino, capta qualcosa di inaspettato: “Un portone metallico che si apre e le parole “Matteo susiti” (alzati, ndr). Il sospetto che dentro il casolare ci sia davvero il latitante Matteo Messina Denaro si fa sempre più forte, così la mattina successiva scatta il blitz. Ma il covo è vuoto. Di lui nessuna traccia. Covo pulito. È uno dei retroscena che emerge dall’operazione antimafia “MafiaBet”, ma la presenza di “U siccu” nella zona del trapanese è emersa anche in altre occasioni: le indagini Anno Zero e Visir. Un tramonto rimandato, concretizzato ieri mattina in un’operazione denominata proprio “Tramonto”.

Un altro “episodio” che testimonierebbe la presenza del boss a Trapani risale al 2015 ed è emerso durante l’operazione “Eden 3”. In quell’occasione emerse che Iddu sarebbe stato accompagnato da un soggetto di nome Mimmo alla stazione di Trapani a bordo di una Mercedes.

ANSA/FERMO IMMAGINE TG2

Poi c’è quella immagine del 2009 che ancora oggi è avvolta nel mistero. Nelle immagini, che durano pochi secondi e risalgono al dicembre del 2009, si vede un suv blu che percorre una strada sterrata in piena campagna. A bordo ci sono due persone: l’autista e, sul sedile del passeggero, un uomo stempiato e con gli occhiali. Secondo investigatori e inquirenti quell’uomo potrebbe essere proprio Matteo Messina Denaro.

Palermo applaude i Carabinieri. “Grazie a voi per il supporto”

Al termine della conferenza stampa alla Caserma Carlo Alberto Dalla Chiesa di Palermo un gruppo di giovani studenti, semplici cittadini, componenti di varie associazioni locali, con un flash mob hanno applaudito i Carabinieri che ieri mattina hanno arrestato il boss Matteo Messina Denaro. Sul lato opposto della strada uno striscione: “Capaci non dimentica” (VIDEO)

I Militari hanno risposto sorridendo: “Grazie a voi per il supporto”. In prima fila, dentro la Caserma e fuori, tra i giovai, l’instancabile Vincenzo Agostino che continua a chiedere verità e giustizia per il figlio Nino e di sua nuora Ida Castelluccio all’epoca dell’omicidio incinta. Per Agostino si chiude un capitolo importante, ma adesso bisogna spingere per avere davvero verità e giustizia per tutte le vittime di mafia.

Un momento di liberazione per una città che per troppi anni ha subito il peso dell’oppressione mafiosa. “Palermo è nostra e non di cosa nostra”, un grido di liberazione di una Palermo che oggi ha sicuramente vinto una battaglia importante, ma non la guerra a Cosa nostra.

 

La società civile applaude i Carabinieri

L’arrivo di Matteo Messina Denaro alla clinica “La Maddalena”.

Matteo Messina Denaro trasportato in elicottero al carcere di massima sicurezza de L’Aquila

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.