Gabriele Paci: “Questo ministro tratta i magistrati come un’associazione a delinquere”

Il procuratore di Trapani: «Non abbiamo fallito, ma neutralizzato la cupola stragista. Non stupisce la protezione di cui godeva Messina Denaro in una roccaforte della mafia»

Di GIUSEPPE SALVAGGIULO

Davvero ha detto così? Mi pare che il dibattito stia scivolando su luoghi comuni, fino a trattare l’Italia come la Danimarca, e noi pubblici ministeri come una specie di associazione a delinquere». Dopo una vita da pm antimafia a Palermo e Caltanissetta, Gabriele Paci da un anno e mezzo è procuratore di Trapani, il feudo di Messina Denaro.

Si è stupito della rete di complicità di cui godeva?
«No. Questa è Trapani. Una roccaforte, se la definizione non risultasse ormai perfino patetica».

Perché roccaforte?
«Questo era un paradiso fiscale per i corleonesi. Banche, finanziarie e prestanome come in Lussemburgo. Riina passava le estati tra Mazara e Castelvetrano, investiva in terreni e immobili. Si appoggiò ai trapanesi per vincere la guerra di mafia contro i palermitani, incoronando il fedelissimo padre di Messina Denaro, don Ciccio, come capo provinciale».

E oggi?
«L’immagine della città è cambiata, il sostrato sociale e criminale no».

In che senso?
«A Palermo il 23 maggio e il 19 luglio si ricordano le stragi di Capaci e via D’Amelio. A Trapani, nel 1985, ci fu la strage di Pizzolungo: un’autobomba contro il giudice Carlo Palermo, una madre uccisa con i due figli. Ma quando chiedo agli studenti se la conoscono, mi accorgo che è stata rimossa».

Il vostro lavoro cambia?
«I cadaveri per strada sono firmati cosa nostra. Ma oggi non ci sono più cadaveri per strada, la mafia fa affari. Tutto passa dai nuovi strumenti di comunicazione. Per questo le intercettazioni sono imprescindibili per corruzione e reati economici».

Se ne fanno troppe?
«Rispetto a quale parametro? In Inghilterra hanno un Messina Denaro? In Danimarca hanno visto saltare per aria un’autostrada per ammazzare un giudice?».

No, però…
«… però dovrebbe vedere gli sguardi dei colleghi stranieri quando racconto che a Gela lavoravo su due famiglie di cosa nostra, due articolazioni della stidda, una fazione di fuoriusciti. Cinque clan per 70mila abitanti».

Le piace l’idea di dare budget alle Procure?
«Mi pare un sistema brutale e arbitrario. Se scompare un bambino che faccio, intercetto o rispetto il budget?».

Non si spende troppo?
«Un corretto conto economico dovrebbe sottrarre il valore dei beni confiscati grazie alle intercettazioni e dare un valore ai crimini scongiurati. Comunque, lo Stato potrebbe comprare le strumentazioni, anziché affittarle dai privati. Sarebbe meno caro e più sicuro».

Il ministro denuncia abusi.
«Quali? Quanti? Si è violata la legge? Ha gli strumenti per accertarlo e, nel caso, intervenire».

Le intercettazioni finiscono sui giornali.
«Un momento. Se intercetto un boss che racconta all’amante dove ha messo i soldi delle estorsioni è chiaro che prima o poi, nel processo, viene fuori. Altro discorso se si tratta di conversazioni irrilevanti, gratuitamente pruriginose».

La legge Orlando funziona o no?
«Le regole ci sono. Siamo indietro sulla professionalità – di tutti, anche nostra – rispetto a una realtà cambiata. Non nego gli errori».

Quali?
«Accumuliamo una mole impressionate di dati sensibili. Non siamo attrezzati per gestirli adeguatamente».

C’è scarsa sensibilità per la privacy?
«È una questione di preparazione, di cultura. Ma attenzione a non buttare il bimbo con l’acqua sporca».

Chi è il bimbo?
«La corruzione esiste, è radicata, priva la collettività di denaro e servizi. Tanto più quando arriva un fiume di soldi europei».

Senza intercettazioni non si possono fare le indagini?
«Per reati come la corruzione, le possibilità sono nulle. Se la politica vuole elevare la privacy a valore assoluto, a scapito di ogni esigenza di sicurezza collettiva, lo dica. La privacy è più importante della corruzione? Ne prenderemo atto. Ma sia chiaro che significa chiudere gli occhi di fronte a una radicata realtà criminale».

Che ci sia corruzione si sa anche senza intercettazioni.
«Ma noi dobbiamo accertare fatti e responsabilità. Servono prove. E mezzi adeguati per trovarle. Altrimenti siamo disarmati».

E le intercettazioni a strascico?
«Sono abusive. Già vietate, non serve una nuova legge. Ci sono casi del genere? Il ministro ha statistiche, casistiche? Vediamole. Altrimenti sono luoghi comuni».

L’appello al Parlamento a non essere «supino ai pm» è stato molto applaudito.
«Sembra che le intercettazioni siano un capriccio dei pm che giocano a spiare le persone. Veniamo trattati come un’associazione a delinquere».

Dice il ministro: se si sostiene che la mafia è ancora forte, vuol dire che l’antimafia ha fallito. Si sente un fallito?
«Perché non abbiamo eliminato fenomeni criminali radicati da un secolo e mezzo? Abbiamo non solo neutralizzato la cupola stragista, ma chiuso le scuole di formazione dei nuovi quadri. Impedendo che un nuovo Messina Denaro crescesse “sulle mie ginocchia”, come diceva Riina. Per farlo, abbiamo tagliato l’erba ogni giorno, con la legislazione antimafia. Ora per qualcuno il tagliaerba non serve più».

Fonte la stampa.it

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